lunedì 25 luglio 2016

Triora segreta: il diavolo dorme tra quelle pietre!




Il diavolo sconfitto: scultura lignea del XVIII secolo (Abbazia dei Fieschi di Cogorno, Ge.).



“Dicono che quando passava lei, il sole si ritirasse, e un'ombra nera la seguisse. Tutto diventava scuro; i muri si crepavano, le rose perdevano i petali e le donne incinte abortivano solo a vederla. Ma gli uomini la seguivano e, come attratti da un magnetismo irresistibile, diventavano preda della sua magia, schiavi della sua straordinaria bellezza. Aveva capelli lunghi e corvini che le scendevano lisci sulle spalle bianchissime, e occhi neri e profondi. Il suo volto era inespressivo, statuario, le mani sottili. Vestiva in abiti lunghi, di una stoffa pesante come i sai dei frati: io la vedevo sempre passare, la mia strega, e mi sarei venduto l'anima per lei.”


No, non siamo in Transilvania. Queste sono le parole pronunciate nel dopoguerra da un anonimo anziano abitante del borgo di Triora: tradizione orale, reminiscenza di fatti realmente accaduti. Pare che in seguito la presunta dark lady della valle Argentina sarebbe stata costretta a lasciare il paese per via di invidie e maldicenze, velate dalla sopita convinzione che “le streghe divoratrici di uomini” apparissero ancora, ogni tanto, in quel luogo maledetto, ormai segnato da tali e tante crudeltà. Il mito della “strìa”, della “masca” piemontese o per l’esattezza, della “basora” o “baguia” nel Ponente Ligure, una delle figure più intriganti e misteriose della tradizione popolare, fu alimentato da un’infausta pratica, nata sì nel Medioevo, ma conclamatasi soprattutto sul finire del Rinascimento con l'avvento della Controriforma Cattolica: l’inquisizione.



Le case arroccate di Triora accoglievano così il visitatore: sporgendosi come per spiarlo.


Il borgo di Triora, distante circa 47 km dal mare e dal capoluogo Imperia, sorge a 780 metri d’altezza su un costone montuoso delle Alpi Marittime, che digradano verso un selvaggio fondovalle percorso dallo spumeggiate torrente Argentina. Triora è il prototipo del perfetto borgo medievale: un conglomerato di case d’ardesia arroccate le une sopra le altre, dove i vicoli, detti in ligure “caruggi”, sono sovrastati da numerosi archi di sostegno che impediscono il collasso totale a spericolate strutture sospese nel vuoto. E’ un labirinto edilizio attraversato da vicoli oscuri, incastonati tra muraglioni e scalinate scivolose che precipitano come serpi verso una rete di caverne sotterranee. Presso le dimore nobiliari, quasi per magia, si aprono i tipici portici, provvisti di stemmi araldici d’ardesia rappresentanti motivi sacri e apotropaici come Annunciazioni, agnelli mistici  ma anche simboli di eredità pagana come buoi, teste di pietra e personaggi misteriosi, solo in parte scampati alle distruzioni napoleoniche.
Il primo ambiguo mistero del borgo di Triora fa capolino a partire già dal suo stesso nome: dal latino “Tria Ora”, ovvero “tre bocche”, proprio come quelle del Cerbero raffigurato nello stemma…



Triora, museo della stregoneria: maleficio sul bestiame e le bestie selvatiche

Secondo alcuni il segugio a tre teste, mitico custode dell’Ade, starebbe a indicare i tre fiumi alla cui confluenza sorge il borgo di pietra con il suo territorio. Per certo, il luogo su cui sorge Triora in tempi preistorici costituì il centro d’irradiazione di riti ancestrali in diretto contatto con l’Aldilà: tutto ciò, ben prima che nascesse il mito delle streghe. In un’area già costellata di menhir e cerchi di pietre (Passo delle Porte), le origini del primo centro abitato, non ancora del tutto note, andrebbero fatte risalire prima ancora della conquista romana, all'Età del Ferro. Non per nulla, la tradizione ci fa risalire alle tracce di una cultura matriarcale che traeva origine dal misterioso rito celto-ligure della dea Madre “Baubo”, raffigurata su antichissime statuette di pietra, d’osso e avorio come una donna dalle forme molto procaci, con una doppia fila di seni e la parte più intima a forma di fauci di lupo. Le statuette finora trovate, sacralmente oscene ai nostri sguardi giocoforza ormai suggestionati da secoli di cristianizzazione, anticamente venivano portate al collo per difendere le sacerdotesse liguri da una società maschile, dedita alla guerra, in violenta ascesa. Fu così  che la dea Baubo, col passare dei secoli e poi dei millenni, fu volgarizzata nelle vesti di “una simpatica vecchietta” che avvertiva le fanciulle in età da marito a proposito degli inganni insiti nella malizia sessuale del genere maschile. Da questi presupposti si è originata una nutrita serie di storie e dicerie legate a numerose streghe che avrebbero infestato il Ponente ligure: donne dotate di poteri stregoneschi tramandati secondo una logica rigorosamente matrilineare. Tutte le streghe neonate portavano come segno di riconoscimento un neo peloso in fondo alla schiena e sembra che, quando allattate, mordessero i seni delle loro madri fino a farli sanguinare. Di tutta la Liguria, per secoli Triora incarnò il cuore pulsante di questi superstiziosi luoghi comuni.



Triora, presso un quadrivio si sprigionerebbe negatività

Le prime fonti di Triora medievale descrivono il passaggio del possedimento dalla potestà degli Aleramici a quella Arduinici e poi sotto i conti di Ventimiglia. Nel 1260, dopo un tentativo di difesa armata, Triora fu definitivamente venduta alla Repubblica di Genova e promossa a capo di una giurisdizione che includeva tutti paesi della valle Argentina. La popolazione rispose positivamente alle chiamate di guerra, specie nella famosa Battaglia della Meloria del 1284, dove Triora e la sua podesteria inviarono nel conflitto navale contro Pisa circa duecentocinquanta balestrieri a sostegno di Genova. Ecco perché Triora poté fregiarsi del titolo di Comune autonomo, tanto che nel XVII secolo il parlamento generale del borgo poté redigere un proprio statuto. Se consideriamo il gran numero di opere edilizie tuttora visibili, è certo che la dominazione genovese assicurò per secoli al Comune di Triora un tenore di vita molto elevato: il borgo poteva vantare la presenza di ben cinque castelli provvisti di portali di ingresso, mura e fortificazioni. Sulla sommità del paese ancora svetta l'antico castello voluto dai genovesi (1260), punto di importanza strategica: il primo luogo di esecuzioni, solo in seguito spostato sulla collina. Purtroppo, dalla fine del ‘500 Triora fu sfortunatamente segnata da eventi poco edificanti: lo scoppio della caccia alle streghe confermò una superstizione già da molto tempo latente.



Levitazione e altre malíe (Triora, museo della stregoneria)


Tralasciando la collegiata, rimaneggiata nel XVIII secolo, Il numero di chiese è vasto, ma la principale attrazione è costituita dall'oratorio campestre di San Bernardino, le cui origini romaniche sono testimoniate dal portico d'accesso a tre fornici. Ed ecco sopraggiungere il secondo indizio: ciò che esternamente appare come una pacifica chiesa rustica, con un misto di orrore e incredulità svela all’interno l’anima più cupa e tormentata di Triora.
Precedentemente dedicata a San Gerolamo, San Bernardino ereditò il suo nuovo nome per via della furente predicazione da parte del noto predicatore senese, volta a catechizzare le popolazioni locali, lontane dai grandi centri culturali e proprio perciò poco avvezze alla cultura religiosa. Ed ecco riflesse, sui lati lunghi di una semplice aula rettangolare, frammenti di scene tratte proprio dai suoi sermoni violenti e visionari: lo spaventoso Giudizio Universale è un ciclo di affreschi incentrati sui particolari raccapriccianti delle sofferenze corporali dei dannati torturati dai demoni o che, affamati dal peccato della gola, si divorano a vicenda (nel supplizio di Tantalo, destinato ai golosi). Il terrorismo psicologico di queste immagini pittoriche serviva a fissare nella mente delle popolazioni incolte del Ponente quel percorso di purificazione che le avrebbe dovute guidare alla salvezza.


Il torrente Argentina, testimone silenzioso di tante sciagure

Da un lato la scena raffigurante l’Inferno, suddivisa su tre registri, rafforza l’idea di una nuova iconografia caratterizzata dall’attribuzione, per ogni peccato, di una precisa geografia infernale: ed ecco sfilare i “Settenari dei Vizi”, dove a ogni punizione corrispondeva  un determinato peccato. La Superbia e l’Invidia sono raffigurate ai lati di Satana, quali cause della sua caduta, mentre l’Ira e l’Accidia vanno a immortalare il registro inferiore, per lasciare quello mediano a Gola, Avarizia e Lussuria. Punto di partenza di tutto ciò fu l’antichissima riflessione di Gregorio Magno (VI sec.) per cui il castigo andava misurato sulla base alla gravità dell’offesa «e ogni dannato sarà tormentato dal fuoco dell’inferno secondo la grandezza e l’enormità del suo reato».
Dall’altro lato la visione, unitaria ed escatologica, ha per protagonista l’arcangelo Michele, impegnato alla pesa delle anime accanto a demoni che si affannano sghignazzanti a squartare, mutilare e amputare corpi tra fiamme e schizzi di sangue, mentre nel pozzo infuocato cuociono immersi nel brodo ardente “fatucerie e gàzari”: fattucchiere ed eretici catari, sullo fondo di una moltitudine di bambini pallidi e dagli sguardi angosciati che si stringono all'ombra delle ali spiegate di un enorme e demoniaco pipistrello. È il “sepolcro degli infanti morti senza battesimo, detto “Limbo”, ed essi sono i bambini rapiti dalle streghe, morti senza battesimo e sepolti nel sagrato di San Bernardino. Questa lugubre iconografia fu ampiamente diffusa tra il Ponente ligure e le Alpi Marittime, tra il XIV e il XV secolo, lungo le vie commerciali, da numerosi pittori che si spostavano tra il basso Piemonte verso il territorio ligure - nizzardo. Chi fu l’autore del ciclo? Inizialmente si propese per il pinerolese Giovanni Canavesio, che sul finire del ‘400 dipinse tematiche analoghe a Pigna e a Briga, sconfinando nell’attuale Costa Azzurra; attualmente gli studiosi sono invece più propensi ad attribuire il lavoro al toscano Taddeo di Bartolo e la sua bottega, che già avevano destato scalpore e ammirazione con scene infernali dalla collegiata di San Gimignano.


San Bernardino di Triora, scene infernali (inizi XV sec.).


Ma soprattutto noi ci chiediamo: com’è possibile che le streghe, raffigurate un secolo prima della Controriforma, a Triora fossero già protagoniste? Dall’altra parte del borgo le lunghe ombre dei muri e delle arcate che sovrastano i vicoli vanno sparendo proprio in prossimità della “Cabotina”: luogo evitato per eccellenza da chiunque dopo il tramonto. L’estrema propaggine meridionale del borgo, situata a ridosso di un orrido al limitare della foresta, dove la via è sbarrata da fitti boschi di conifere e dalla massa imponente delle Alpi marittime, era il luogo dei sabba, delle orge in onore al demonio e delle formule segrete. Cabotina, terrore delle madri: se allo scoccare dell’Ave Maria i loro bambini si fossero trovati ancora fuori dalle mura, sarebbero stati preda delle streghe e palleggiati a calci con le loro colleghe della sottostante località dei Mulini di Triora. Di quel presunto incubo oggi resta uno spazio cinto da case in pietra diroccate, residenza di povere contadine che, dal tempo della grande tragedia (1587), nessuno tornò mai più ad abitare. Delineati i contorni di un luogo tragico e mitico, accennati gli indizi e i presunti colpevoli, spetterà ora, con gli atti del processo di Triora, scoprire chi davvero fossero i carnefici e chi le vittime di questa truce vicenda:

San Bernardino di Triora, marinaio (inizi XV sec.).


Nell’ottobre del 1587  il Parlamento locale, con approvazione del Consiglio degli Anziani e del Podestà stanziò cinquecento scudi per iniziare un processo: una cifra enorme in relazione alla condizione economica del borgo stesso. L’autorità ecclesiastica non tardò a intervenire, per mezzo del vicario dell’Inquisizione e Albenga, Gerolamo Del Pozzo. La prassi del tempo consisteva nel celebrare messa nella chiesa parrocchiale, invitando il popolo alla denuncia.

Il processo di Triora non stupisce inizialmente per il suo corso che ricalca nella sostanza molti altri con tutte le ripercussioni del caso. Si confiscarono alcune abitazioni private da adibire a prigione e non tardarono ad arrivare le prime vittime della giustizia: tra le prime venti donne incarcerate morirono la sessantenne Isotta Stella e un’altra donna, quest’ultima nel tentativo di calarsi da una delle finestre del carcere. Di streghe morte la storia ne è piena, ma ciò che lascia perplessi è l’evolversi della situazione.



Scorcio di Triora


Il Consiglio degli Anziani, essenzialmente composto dai proprietari terrieri, mostrò le sue perplessità verso il processo quando le prime “matrone” di Triora furono incarcerate. La delazione, gli odi e le invidie personali dilagavano a tal punto da mettere sullo stesso piano, di fronte alla macchina della giustizia, le nobildonne come le prostitute e  le emarginate  che “sopravvivevano” alla “Cabotina”: un quartiere composto da misere abitazioni, vista precipizio, che si ergeva all’esterno delle mura del paese.
I due inquisitori non riuscirono a concludere il processo causa il  repentino allargamento delle accuse a tutto il tessuto sociale. Il governo di Genova intervenne personalmente nella questione. Il vescovo di  Albenga, Mons. Luca Fieschi chiese spiegazioni al Del Pozzo sul suo operato attraverso una missiva: forte del Consiglio degli Anziani, l’inquisitore sosteneva la presenza del Maligno come elemento portante della sua difesa. A questo punto gli storici, nel registrare una rassicurazione verbale da parte di Del Pozzo sulla sorte delle nobildonne e su una sua promessa di non estendere le accuse ai notabili del posto, ravvisano una fase di stallo.

Nel mese di giugno giunse la vera e inattesa svolta della vicenda. Il giorno 8 giunse a Triora, mandato da Genova, il commissario speciale Giulio Scribani: costui dopo un mese, dichiarando di voler “smorbar di quella diabolica setta questo paese che resta quasi per tal conto tutto desolato” inviò nelle carceri genovesi tredici donne e il solo uomo che giacevano nelle prigioni trioresi al suo arrivo. Da qui in poi sarà un escalation di arresti e torture.
Nei mesi successivi lo Scribani imperversò in tutta la zona aprendo nuovi casi e facendo morire donne innocenti. Di fronte alla richiesta del via libera per decine di condanne a morte, il Doge iniziò a nutrire i primi dubbi sull’operato del commissario: perplessità che sfociarono in una richiesta allo Scribani di attenersi alle confessioni e soprattutto di provarne la veridicità con riscontri reali e plausibili. Quando fu chiaro che lo Scribani era ormai un cane sciolto, Genova affidò la revisione del processo all’uditore e consultore Serafino Petrozzi che sottolineò come lo Scribani si  fosse interessato a reati connessi alla stregoneria, materia di esclusiva competenza dell’Inquisizione. Ma anche il Petrozzi concluse la sua relazione dicendo che la questione era troppo delicata e la possibilità di commettere errori elevata. In pratica se ne lavò le mani. Lo Scribani nel frattempo continuava a incarcerare donne e a difendersi dalla critiche con numerose lettere.
Genova, seguendo una tragica prassi burocratica, affiancò al Petrozzi due giureconsulti: Giuseppe Torre e  Pietro Allaria Caracciolo. La situazione divenne paradossale: i due nuovi revisori dopo una breve analisi del caso si dichiararono concordi con lo Scribani e convinsero anche il Petrozzi.
Lo Scribani si sentì così autorizzato a proseguire; a Triora e nei borghi confinanti come Andagna, Bajardo, Montalto Ligure si registrarono le morti di tante innocenti.
Prima di vedere uno spiraglio si dovranno attendere mesi. Lo Scribani per il suo scellerato operato subì la scomunica da parte dell’Inquisizione stessa, rimessagli poi, per intervento del Doge, il 15 agosto 1589.




San Bernardino di Triora, la struttura tardo romanica con vestibolo (XIII sec.).



Il 28 aprile 1589 fu la Chiesa a dare un segnale di speranza concreto: i cardinale Sauli e quello di Santa Severina ingiunsero di chiudere i processi e per la prima volta, come si legge nella loro missiva, le streghe di Triora vennero chiamate “sudditi della Signoria” restituendo, almeno a parole, dignità alle innocenti. Che fine fecero le streghe di Triora? Morirono in carcere o furono liberate?
Da qui in poi il loro triste destino sprofonda nell’oblio del tempo per la mancanza di documenti.
Sulla fine della vicenda gli storici si sono espressi in maniera differente. Alcuni sostengono che le donne rinchiuse a Genova furono liberate: Su quelle incarcerate a Triora si sa ben poco. Alcuni ipotizzano che siano state liberate e che abbiano partecipato alla costruzione di quel convento di San Francesco i cui lavori iniziarono nel 1592 e terminarono nel 1595.


Triora, museo della stregoneria

Al di là della drammaticità della vicenda le ipotesi più recenti sul processo hanno portato all’esame di alcune grandi anomalie che farebbero pensare che dietro all’accusa di stregoneria, il grande processo servì a nascondere situazioni al limite della legalità che vedevano il coinvolgimento delle stesse famiglie nobili di Triora.
Ecco qui di seguito alcuni punti sui quali gli storici si sono soffermati in questi anni:
- Per anni la causa del processo fu imputata ad una carestia che perdurava dal 1585; ciò sembrerebbe improbabile, vista la nomea  di “granaio della repubblica” che Triora godeva a quei tempi. Si è pensato quindi ad una manovra speculativa dei latifondisti trioresi interessati all’innalzamento del prezzo delle derrate alimentari da rivendere a Genova, derrate però che non riuscivano più ad essere acquistate dai propri concittadini. In questo caso le streghe sarebbero state un capro espiatorio perfetto. Tra le accuse mosse alle streghe compare spesso quella di infanticidio. Dall’analisi del Liber Mortuorum et Baptizatorum di quegli anni non si rileva un innalzamento della mortalità infantile. L’ipotesi più credibile è quella della presenza di esperte levatrici che spesso si vedevano costrette a somministrare battesimi non ufficiali prima di dare sepoltura ai bambini nati morti, a loro volta sepolti sul sagrato della chiesa di S. Bernardino. Questa  diffusa pratica, mal tollerata dalla religione ufficiale, potrebbe essere una delle cause dell’odio scatenato verso queste donne che conoscevano le proprietà curative delle erbe medicinali.



San Bernardino di Triora, tra i terrazzamenti tipici che scendono a valle


Così terminano le tristi vicende della Salem italiana. Nonostante tutto, sul processo grava ancora un alone di mistero tale da aver materializzato, nei decenni successivi, un’ipotesi intrigante sulla possibilità che le vere streghe di Triora fossero fuggite in un paesino dell'entroterra genovese chiamato San Martino di Struppa, poiché nei primi anni del Seicento nei registri parrocchiali del luogo iniziarono ad apparire cognomi singolari e forestieri come Bazoro, Bazora, Baggiura o Bazzurro, che richiamano la forma dialettale triorese della strega.

Triora, ruderi di S. Caterina


Nel 4 e 5 luglio del 1944, come in una rinnovata maledizione, i tedeschi distrussero interi quartieri di Triora contribuendo allo spopolamento dell’antica e gloriosa Podesteria. Cosa resta oggi del paese delle streghe? La sua bellezza tenace e misteriosa gli è valsa l’inclusione nel circuito dei borghi più belli d'Italia e la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano. Attualmente, i pochi abitanti rimasti vivono di turismo di qualità, con la produzione di specialità gastronomiche d’eccezione come “il pane di Triora” e approfittano di occasioni come Halloween per attrarre curiosi da tutta Italia. Ciononostante, qualcosa rimane nell’aria: come poter dimenticare le grida, seppur affievolite dal tempo, delle vittime straziate e dei parenti che assistettero con impotenza al martirio delle loro figlie e parenti? Quel vecchio superstite del dopoguerra di cui vi parlavo, ormai trapassato anche lui, qualche idea ce l’aveva. Riguardava il fantasma della presunta strega inquisita e uccisa: Franchetta Borelli.

Il suo corpo candido e innocente talvolta appare tra il castello e il fortino di San Dalmazio. Nelle notti di luna io andavo proprio lì, alla Cabotina, dove la vedevo sempre, col suo vestito bianchissimo…quel suo sudario di tortura e sofferenza. Splendeva di una luce bianca diffusa ed era così bella che sembrava la bellezza sempre sognata. Mi parlava con il vento e io ascoltavo senza comprendere le sue parole che avevano un suono dolcissimo: sembrava quasi rivolgersi a tutti quei giovani di Triora che ancora credevano nell'amore, in quell'amore eterno che può continuare oltre la vita. Le streghe di Triora sono state i nostri sogni di gioventù, le nostre illusioni, la nostra forza per superare le guerre e la morte. Ora sono il ricordo di tante sere d'estate sugli spalti del castello, davanti al verde senza fine dell'alta Valle Argentina, quando sognavamo una vita senza distruzioni: il desiderio poter vivere in pace, tra le nostre dolci streghe che i turisti non potranno vedere mai, perché sono solo dentro di noi.”


Triora, ruderi di S. Caterina


Marco Corrias
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AA.VV – Triora, Pese delle Streghe e dei vicoli tortuosi, 1998
AA.VV –  Quaderni del Bobbio, Rivista culturale, Rivista di approfondimento culturale dell’I.I.S. «Norberto Bobbio di Carignano, N. 2 anno 2010
AA.VV – Touring Club italiano, i borghi più belli d’Italia , guida 2006
M. Centini –  La Preistoria in Liguria, 2008
I.E. Ferrario - Triora, Anno Domini 1587. Storia della stregoneria nel Ponente Ligure. 2005
F. Ferraironi - Le streghe e l'inquisizione, 1955.I. Manfredini –  Il Giudizio universale in San Bernardino a Triora, 2007
M. Ricchetti – Liguria sconosciuta, 1983
D. Tacchino – Liguria nascosta e dimenticata, 2008


3 commenti:

  1. LETTO TUTTO D'UN FIATO...ARTICOLO DI MARCO CORRIAS...GENIALE MAI PESANTE...CON APPUNTI STORICI ACCURATI E RIFERIMENTI ALLE TRADIZIONI ED ALLA MITOLOGIA DI QUELLE GENTI VERAMENTE ESAUSTIVI...UNA VENA POETICA PERVADE TUTTO L'INSIEME CHE SI PUO' LEGGERE ANCHE COME UN ACCURATISSIMO ROMANZO BASATO SU CRUDE VERITA'...VERAMENTE BELLO...

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