D: Dottor Gaspani, ci spiega in cosa consiste il mestiere dell'archeoastronomo?
R: L’archeoastronomo è uno
studioso che si occupa della forma di astronomia più antica, che va dal periodo
pre-letterato, cioè quando non era ancora presente la scrittura, fino al
medioevo.
D: Il suo luogo d’origine, e mi riferisco alla Val Brembana e il
relativo contatto con la natura, deve aver sicuramente inciso sui suoi studi e
interessi. E’ così?
R: Sebbene io sia originario di Bergamo alta, la mia lunga
esperienza nella valle fin dall'infanzia deve aver certamente influito.
D: Com'è nata questa passione?
Da oltre trent’anni faccio parte dello staff dell'Osservatorio
Astronomico di Brera; poi, ho iniziato già negli anni ’90 del secolo scorso a svolgere
ricerche nel campo dell'Archeoastronomia
(Società Italiana di Archeoastronomia, SIA). Il mio settore di ricerca concerne
i periodi protostorico e medioevale in Europa, ma anche il perfezionamento
delle tecniche di rilevamento dei siti archeologici di rilevanza astronomica e
dell'analisi dei dati raccolti.
R: Cosa l’ha portata a questa peculiare svolta?
D: Vede, da piccoli, quando alle scuole
Elementari gli insegnanti ci raccontavano che i Romani erano “i più i gamba di
tutti”, io già avevo iniziato a nutrire
dubbi a proposito. Magari erano per davvero i più in gamba, ma da quel momento
iniziai a documentarmi, con l’intenzione di farmi idee su realtà differenti.
R: E cosa scoprì?
Venne fuori che il mito della
romanità inculcatoci, quello del grande Impero, era fondamentalmente limitato
al bacino del mar Mediterraneo: effettivamente un po’ piccolo, se confrontato con
quello di altri grandi popoli dell’antichità, come ad esempio quello cinese. Il
mito italiano della romanità alla fine derivava da una strumentalizzazione
culturale a fini politici tendente a sostenere l’idea dell’unità dell’Italia,
la quale è uno Stato, ma non una nazione.
D: Un ripasso per noi e per i nostri lettori: con chi ebbe
inizio l’astronomia?
R: Ai miei studenti vado dicendo,
in genere, che il mestiere dell'astronomo è il secondo mestiere più antico del
mondo: esso ebbe inizio fin dalla preistoria: 30.000 anni fa, se ci basiamo
solo sui reperti documentari, per lo più ossa incise con tacche che riproducono
il computo lunare, ma e’ facile immaginare che il cielo sia stato osservato ben
prima di quella remota epoca.
D: Con chi ebbe inizio la vera astronomia intesa come tale? Forse con
il greco Tolomeo (astrologo,
astronomo e geografo greco)?
R: In realtà Tolomeo, essendo un
greco d’età ormai tardo-ellenistica (100-175 d.C, addirittura ai tempi dell’impero
Romano) fu preceduto, e alla grande! Tolomeo potrebbe anzi essere riconosciuto
come il più grande imbroglione della storia. Il suo “Almagesto” (opera in cui Tolomeo raccolse la conoscenza
astronomica del mondo greco) è una delle frodi scientifiche più grandi della
storia. Fu un geofisico inglese (Newton, solo un omonimo di quello più noto)
a smascherarlo. Quando Newton si mise a studiare il catalogo di stelle
anticamente riportato da Tolomeo scoprì che il famoso alessandrino non aveva
osservato tutte le stelle, ad una ad una, come aveva sostenuto, ma una sola: “Spica”,
ossia una stella di prima grandezza situata nella costellazione della Vergine:
vi scoprì lo spostamento precessionale per cui, basandosi sul catalogo dello
scienziato Ipparco, vi aggiunse uno spostamento costante per tutte le stelle
successive, riportandole come se l'avesse osservate davvero lui. In realtà gli
effetti della precessione lunisolare dipendono dalla posizione delle stelle
sulla sfera celeste e quindi non sono sempre della stessa entità per tutte.
D: In pratica Tolomeo si era limitato a citare e a riadattare una fonte
di gran lunga antecedente: quella di Ipparco di Nicea (190-120 a.C).
R: Proprio così, e lo fece accettando
e casomai riadattando soltanto le osservazioni che concordavano con le sue
teorie planetarie, mentre escluse tutte le altre.
D: Tolomeo ebbe la fortuna di essere molto noto, tanto che per i
musulmani era quasi venerato come un santone. In realtà l'astronomia intesa
come tale ebbe inizio molto prima: forse con i babilonesi. Ma quando si inizia ad
avere una scissione definitiva tra astronomia e astrologia?
R: Anticamente erano quasi la
stessa cosa, a differenza di oggi. Furono un tutt'uno almeno fino a tutto il
Medioevo europeo.
D: Partendo da basi classiche, comunque imprescindibili, Lei si è
chiaramente interessato ad un astronomia delle culture non classiche, legate
anche in un certo senso al nostro passato: quello dei camuni, dei celti…non per
nulla la Sua più importante scoperta, o perlomeno la più discussa…
R: Sì. Gli studi relativi al
grande cerchio di pietra degli antichi Comenses in località Tre Camini, presso
Como, sono quelli che hanno certamente destato maggior scalpore.
D: Cosa ci dice a proposito?
R: Si tratta di un grande sito archeologico
databile al VI secolo prima di Cristo, costituito da un doppio cerchio di
pietre tonde. La tipologia di struttura è analoga ai recinti tombali della
cultura di Golasecca, ma con la caratteristica di essere molto più grande. (68
mt. Di diametro: 34 mt. di raggio x il cerchio esterno, 32 mt. di raggio per il
secondo circolo interno più una piattaforma centrale di 13,5 mt.). Esso, però,
non era destinato ad accogliere tombe, come accadde invece nel Monsorino (la
famosa area archeologica di Golasecca presso Sesto Calende, in prov. di Varese.),
che fu adibito a luogo di sepoltura. Il
duplice cerchio di Tre Camini era un sito di rilevante valenza sacrale, destinato
ad accogliere un sistema di osservazione astronomica.
D: Può spiegare ai nostri lettori cosa sono “il punto di stazione” e “i punti di collimazione”?
R: In quel cerchio, suddivisibile
in 72 spicchi circolari, vi era un punto di stazione, mobile e collocato nel
cerchio lungo il corridoio circolare esterno; invece, il punto di collimazione era
fisso nel centro geometrico della struttura circolare ed era messo in
relazione con il profilo delle alture circostanti che creavano l'orizzonte
naturale e focale degli antichi astronomi. Essi (Monte Croce, Monte Tre Croci,
Monte Caprino) venivano utilizzati per osservare la levata del Sole e degli
astri e il loro tramonto.
D: Cosa può dirci circa l’eventuale presenza dell'acqua, prevista in mezzo ai due cerchi?
R: In queste culture essa era onnipresente:
aveva un’importanza sacrale. Il cerchio, infatti, era probabilmente cinto da un
paio di fiumicelli: il Seveso e il Valle Grande. La funzione di questo sito
astronomico di tipo calendariale era indubbiamente legata al culto, ma non
solo. Il sito, ben drenato dal punto di vista idrogeologico, confinava a sud
con una vasta pianura adatta alla pratica agricola e all’allevamento, mentre a
nordest lo proteggeva una fascia collinare (l’attuale Parco della Spina Verde)
dove anticamente sorgeva l’abitato protostorico di Pianvalle. Gli antichi
delinearono una mappatura del cielo sulla terra, per prevedere il corso delle
stagioni e regolarsi di conseguenza.
D: Si può trovare affinità tra circoli di pietre come questo, più vicini
alla nostra cultura, e quello, celeberrimo, di Stonehenge?
R: Un'affinità può esserci, ma
con un grandissimo divario cronologico: Stonehenge fu eretta nel 3500 a.C.; il
cerchio di pietre di Tre Camini è databile al VI-VII secolo avanti Cristo. Ma
vi furono cerchi ancora più antichi, come quelli ritrovati in Germania: non di
pietre, ma di pali di legno, essi sono databili tra il 4000 e il 500 a.C.
D: Per quanto riguardava le tombe, qui in Italia a Golasecca come all’estero,
perché recintarle?
R: Il cerchio di pietre delimitava
lo spazio, non tanto con la funzione proteggere la parte interna, quanto per
tutelare coloro che si trovavano fuori dalla tomba, dalle forze ultraterrene
generatesi: i sepolcri erano quei luoghi
dove, secondo i druidi, si scatenavano le forze degli dei, e dove quindi non
poteva entrare la gente comune.
D: Era un’area spettante soltanto i sacerdoti: forse, i druidi?
R: Più esattamente, i custodi del
santuario. I druidi operavano all’interno della tribù, dove svolgevano le
funzioni di guaritori, uomini di legge, agrimensori…ma chi gestiva il santuario
vero e proprio era il “gutuater”, non il druido.
D: A proposito di nuovi studi di rilevamento scientifico, volti a sondare numerosi siti archeologici, Lei ha approfondito il metodo d'analisi delle coppelle (fori effettuati nella pietra dalle prime civiltà, forse come recipienti a scopo propiziatorio) “mediante reti neuronali artificiali”. Cosa vuol dire?
R: Si tratta di un esperimento
che si può implementare via software. Di fronte a un problema troppo difficile
da risolvere o di cui non si ha la soluzione, esso può essere sottoposto a una
rete neuronale artificiale addestrata mediante una serie di esempi con la
relativa soluzione. La rete per esperienza impara dall’esperienza ed è capace
di darci una soluzione approssimativa per associazione. Nel caso delle
coppelle, nessuno sa esattamente a cosa servissero: vi sono numerose ipotesi a
riguardo. Vi è chi sostiene che gli antichi delineassero costellazioni sulla
pietra; per altri servivano ad accendervi fuochi rituali, o a versarvi sangue e
altre offerte agli dei. Uno dei più grossi problemi è quello della datazione: vi
furono buchi effettuati in un secondo tempo (le coppelle continuarono a
scavarle fino a non troppi anni fa, vicino le chiese: si beveva l’acqua in cui
era stata emulsionata la polvere che derivava dallo scavo, ritenuta miracolosa);
altre, le finte coppelle, erano soltanto buchi creati dal fenomeno di erosione.
Siccome il problema non è risolvibile in termini algoritmici, allora si è
cercato di addestrare una rete neuronale artificiale in maniera tale da
imparare, o meglio, da indovinare le risposte.
D: E’ estremamente importante evidenziare un fenomeno celeste molto
influente per quanto riguarda gli studi di archeoastronomia: “il moto di
precessione” (Esso è uno spostamento millenario della Terra, in cui l’asse compie
un movimento orario lento ma continuo, volto a modificare l'orientamento del
suo asse di rotazione rispetto alla sfera ideale delle stelle fisse). Circa questo fenomeno, la cui conoscenza oggi consente di ricostruire, spesso
attraverso programmi su computer, l’aspetto del cielo in epoche molto remote, ingannò
per secoli molti uomini che, senza poter disporre delle vostre tecnologie
osservavano il cielo senza poterne più trarre auspici. Che dire a riguardo?
R: Tra i mestieri di noi
archeoastronomi vi è quello di ricalcolare le posizioni in cui le stelle si
trovavano nei tempi antichi. In età Augustea esplose la moda dei culti
misterici: di Iside, Osiride, Mitra e Serapide, importati dall'Egitto. I soldati che vivevano nel vicino Oriente si
convertirono a questi culti e poi li esportano a Roma. Siccome i legionari, che
avevano “un aldilà bruttissimo,” (L’Oltretomba nella concezione romana era il
regno del silenzio, il luogo in cui si viveva privati della parola. La morte
era angoscia, incertezza e fallimento senza speranza) preferirono assumere queste nuove religioni e
le portarono in madrepatria dove si cominciò a costruire i primi templi dedicati
a dei orientali: i serapei, i mitrei e
gli isei. Si trattava di culti astrali, praticati in segreto da iniziati,
col favore del buio e della notte e che la mattina terminavano i riti dopo aver
letto le stelle. Queste abitudini rituali sono testimoniate anche nell'Asino
d'Oro di Apuleio. E’ normale che dopo due secoli, non quadrando più le stelle nelle
direzioni giuste, gli uomini non capissero più nulla.
D: E allora che accadde?
R: Accadde che Iside e Osiride non
rispondevano più ai sacerdoti. Credevano che
i loro dei non fossero più in grado di dominare il cielo. Allora, con
l’arrivo congiunto del Cristianesimo, smisero di crederci e i culti misterici
praticamente scomparvero.
D: Astronomia e astrologia continuarono a convivere nel corso del Medioevo,
sia negli edifici sacri sia in quelli profani.
R: Tutte le chiese andavano
costruite mediante un preciso allineamento astronomico: il simbolismo di Cristo
era legato al sole, e il canone romano esigeva di erigere chiese con l’asse
della navata orientato verso il sole
nascente agli equinozi. I Longobardi invece, come da tradizione nordica,
preferivano erigerle verso il sorgere del Sole orientato al solstizio d'estate
D: E a proposito di astronomia e castelli?
R: Sappiamo tutti che i castelli
sono fortificazioni militari, ma…quando venivano costruiti, anche in questo
caso poteva sorgere tutto un discorso di tipo astrologico, perché diventassero
inespugnabili. I testi del 1200 tramandano che per costruire un castello bisognava
tenere conto non solo di criteri edilizi ma anche della posizione di Saturno
tra le costellazioni zodiacali. Inoltre,
quando si completava un castello, la tradizione voleva che i costruttori
usassero incidere un simbolo zodiacale nascosto tra le mura: finché nessuno lo
ritrovava, il simbolo rendeva la fortezza invincibile.
D: Lei ha partecipato all'evento “Busto folk” per ben due volte (2013 –
2014). La sua partecipazione a giornate di studi accompagnate, la sera, dalla
presenza di manifestazioni folkloriche con tanto di balli, musica celtica e
rievocazioni storiche lascia presagire la volontà di coinvolgere con i vostri
studi anche coloro che non sono dell'ambito.
R: Questo è certamente uno degli
obiettivi, ma vi è anche quello volto al recupero delle nostre tradizioni.
Quando gli chiediamo quali siano
i suoi progetti per il futuro, il professor Gaspani rivela di averne in ballo
molti, anzi moltissimi. Tra i suoi numerosi studi e collaborazioni ricordiamo
soltanto "L’astronomia dei Celti,
Stelle e Misura del Tempo tra i Druidi" (1997), "La cultura di Golasecca, Sole, Luna e Stelle dei primi Celti
d’Italia" (1999), "La
civiltà dei Camuni, Sole, Luna e Stelle nell'antica Valcamonica"
(2002), "I vikinghi, Storia,
Religione, Astronomia e Calendario degli
antichi dominatori dei mari (2004) e la collaborazione in “Bedolina: La città ritrovata, 5.000 anni di
vita in Valcamonica incisi sulla roccia"; "Introduzione all’archeoastronomia: nuove tecniche di analisi dei
dati” (2006), “Verona: Origini
storiche e astronomiche” (2009). Vista la presenza di un buon numero di
lettori piemontesi e in particolare ossolani, sempre a proposito di massi
erratici e pietre fitte ricordo con piacere che lo scienziato ha partecipato
anche alle valutazioni sull’l'orientamento astronomico del sito archeologico di
Montecrestese e delle sue strutture ad ipogeo (Castelluccio I e II e Croppola I
e II.)
Marco Corrias (alias
Marc Pevèn)
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