Cademario (Ch) - Affreschi in S. Ambrogio Vecchio (XV sec.)
Nello scorso articolo abbiamo trattato
diffusamente del ciclo d’affreschi completato il 23 giugno 1400 sotto il portico esterno di Santa Maria dei Ghirli a Campione, enclave italiana
in terra svizzera, soffermandoci sulla loro spiazzante unicità, sia stilistica,
sia iconografica.
Dal punto di vista pittorico i misteriosi De' Veris, alimentando il senso di dramma ed esasperazione collettiva con un espressionismo inedito e nordicizzante, sembravano quasi dichiarare guerra ai modelli ufficiali e gotico-cortesi della corte viscontea. Dal punto di vista iconografico poi, padre e figlio azzardarono la fusione anomala tra il tema del Giudizio Universale e quello, allora molto diffuso, dei Trionfi della Morte.
Dal punto di vista pittorico i misteriosi De' Veris, alimentando il senso di dramma ed esasperazione collettiva con un espressionismo inedito e nordicizzante, sembravano quasi dichiarare guerra ai modelli ufficiali e gotico-cortesi della corte viscontea. Dal punto di vista iconografico poi, padre e figlio azzardarono la fusione anomala tra il tema del Giudizio Universale e quello, allora molto diffuso, dei Trionfi della Morte.
Tuttavia, il cuore dell’enigma da scoprire si
cela nel senso teologico del ciclo, insito nel rapporto con il dramma finale: di
fronte la figura iconica del Cristo Giudice i peccatori, in
attesa del proprio destino oltremondano, venivano privati di Maria e di tutti i
Santi intermediari…quasi a inaugurare una dichiarazione di protesta luterana
ante-litteram.
Timori apocalittici sulle
rive del lago di Lugano, alimentati da committenti in odore di eresia.
Chi poteva aver richiesto una simile opera?
In un’epoca apparentemente priva di scismi e calamità, faceva la sua
apparizione una congrega misteriosa: quasi una setta segreta di accoliti,
riuniti con finalità di mutua assistenza.
Cademario (Ch) - Affreschi in S. Ambrogio Vecchio (XV sec.)
* 1a tappa: in Svizzera. Oltre il confine, in cerca di cicli affini.
Li ho scovati: il più significativo è
conservato a Cademario, nella chiesa di Sant’Ambrogio; il secondo in
Sant’Abbondio a Mezzovico: trovare due luoghi di culto, uno dedicato a un santo
ambrosiano, l’altro a uno santo comasco a pochi chilometri di distanza l’uno
dall’altro la dice lunga sulla storia complessa di queste terre da sempre
contese tra potentati lombardi e leghe svizzere.
Un’analisi ai resti del ciclo eseguito nella
chiesa cimiteriale di Cademario, riferibile alla prima metà del '400, ci porta
a ritrovare l’iconografia del Cristo in trono e dalla posa particolare, già visto
a Campione; nel registro inferiore, rovinatissimo, vi è anche l'Inferno a
sfondo rosso. Fra i pochi brandelli superstiti si riconoscono Giuda impiccato
ad un albero e una scena di elemosina. A Cademario, come a Mezzovico, anonimi imitatori dei De' Veris provarono l’impellente esigenza di aggiungere
una lunetta superiore abitata dalla Vergine in gloria adorata dagli Apostoli
inginocchiati. Ai lati sono raffigurati anche i santi Sebastiano e Rocco, protettori per
eccellenza dalla peste: si tratta proprio di quegli intercessori che nel ciclo di Campione
mancavano. Evidentemente, la questione iconografica non passò inosservata
nemmeno ai contemporanei, anzi! Come mai?
E’ ancora troppo presto per rispondere a
questo dilemma. Nel frattempo, la prima tappa ci rivela l'indizio-base da seguire: la peste incombente e i tentativi, da parte dell'uomo medievale, di esorcizzarla.
Pisa - Trionfo della Morte, particolare (Buffalmacco, metà del XIV sec.)
* 2° tappa: Toscana: a Pisa,
di fronte al Trionfo della Morte di Buffalmacco
Ammiriamo uno dei più famosi Trionfi della
Morte, antecedente di ben sessant’anni rispetto al nostro affresco: fu eseguito
nel 1336-41 su committenza, questa volta “regolare”, dei frati domenicani, per il
Camposanto di Pisa: un grande ciclo incombente sulle pareti del
cimitero medievale, luogo in cui si aggiravano frati ansiosi di moralizzare la
società del tempo con la predicazione e con le immagini dipinte. Il Trionfo
della Morte è strettamente legato alle
credenze di una cultura, quella dell’uomo medievale, in un’epoca in cui lo
spauracchio del decesso era percepito come minaccia onnipresente e
incontrollabile: un castigo divino per i peccati commessi. Il grande affresco, stilisticamente
ancora d'impronta giottesca, è dominato anche qui dalla credenza dell’Apocalisse
con scene che alternano il gusto per l'orrido a tendenze comico-grottesche. Dame e cavalieri, simili a quelli che nel “Liebesgarten”
di Campione venivano incalzati da un demone dal soffio pestilenziale, qui vanno
a caccia in gruppo con vesti eleganti; purtroppo per loro, non avranno mai il tempo
di godersi le delizie della vita cortese: la tragedia della morte trionfante
sul mondo terreno già incombe su tutti!
Di fronte a un gruppo di tombe
scoperchiate, un cavaliere si tappa il naso. Sono i cadaveri degli appestati
dell'epidemia catastrofica del 1348 che decimò la popolazione europea.
In alto si consuma la battaglia tra Angeli e
Demoni per la contesa delle anime dei defunti. Anche qui san Michele, con la
spada stretta nella mano destra, ordina agli altri arcangeli di smistare le
anime.
S. Maria dei Ghirli, Campione (Co) - San Michele smista le anime (XIV-XV sec.)
Caso più unico che raro, nel 1348 il Ducato
Visconteo scampò miracolosamente alla Grande Peste: se ricordiamo però che il
male, ormai endemico, penetrò infine in Lombardia nel 1399 causando violenti
turbamenti nella società di allora e perfino la tragica morte (1402) del duca
Gian Galeazzo Visconti detto il “conte di Virtù” possiamo finalmente
comprendere le reazioni che determinarono espressioni figurative analoghe a
quelle del Trionfo della Morte pisano, anche nel ciclo di Santa Maria dei Ghirli
di Campione: il Ducato Milanese, a un passo dalla conquista di Firenze e di tutto il centro Italia,
perdeva di colpo il suo paladino migliore, e con lui il benessere e le certezze godute per mezzo secolo.
La seconda tappa ha
svelato il ritrovamento di un nuovo indizio: i turbamenti esistenziali del
tempo. Questi toni pauperistici ed escatologici ci riportano all'ardua e sempre attuale
questione circa la povertà originaria di Cristo: il problematico ritorno alla
purezza che, ciclicamente, turbava gli animi degli uomini, di Fede e non. Il
più grande effetto a catena era stato inaugurato alla radice dall’abate
calabrese Gioacchino da Fiore, (1130-1202). Figura paradigmatica quella di
Gioacchino, poiché con lui erano venuti al pettine i nodi irrisolti della
problematica coesistenza, nella struttura gerarchica della Chiesa medievale, di
opposte tendenze: da una parte quella razionale e intellettuale dell’Alta Scolastica,
dall'altra quella intransigente e mistica, in lotta per il ridimensionamento
del potere mondano del Clero.
Nei suoi scritti l’abate aveva
profetizzato con larghissimo anticipo l'avvento di un nuovo ordine di monaci
che avrebbero rinnovato la Chiesa e con essa il mondo. Molto più tardi, tra il
1322 e il 1368, nell'area compresa tra la Francia del sud e l'Italia
settentrionale, feroci diatribe intaccarono gli stessi fondamenti dell'Ordine
dei Francescani, al punto da causare scissioni interne tra i cosiddetti
Osservanti, i Conventuali e i più rigorosi Spirituali. Questi ultimi,
identificandosi nel “Nuovo Ordine”, potenziarono il messaggio originario di San
Francesco, loro patrono, con quello visionario di Gioacchino e con i testi
apocalittici apocrifi a lui attribuiti. Divenuti influenti in varie città
importanti come Firenze, in seguito alla duplice sosta effettuata da san Francesco
in nord Italia (1215 e 1221), i
predicatori Francescani trovarono terreno fertile anche a Milano.
Nel 1230, con l’edificazione del San Francesco Grande in contrada S. Ambrogio ossia la più grande chiesa milanese prima dell’edificazione del Duomo (1386) la spuntò l'ordine degli Osservanti. Il complesso contiguo era provvisto di una scuola di teologia e di un dormitorio, In breve tempo, presso la chiesa francescana di Milano il numero di frati aumentò notevolmente: nel 1457 i pellegrini raggiungevano ormai la notevole cifra di centomila persone.
Siena, San Domenico - esempio di architettura d'ordine mendicante (XIV sec.)
Tomba di Gian Galeazzo Visconti - Certosa di Pavia (Cristoforo Solari, 1495)
Nel 1230, con l’edificazione del San Francesco Grande in contrada S. Ambrogio ossia la più grande chiesa milanese prima dell’edificazione del Duomo (1386) la spuntò l'ordine degli Osservanti. Il complesso contiguo era provvisto di una scuola di teologia e di un dormitorio, In breve tempo, presso la chiesa francescana di Milano il numero di frati aumentò notevolmente: nel 1457 i pellegrini raggiungevano ormai la notevole cifra di centomila persone.
* 3° tappa: indietro nel tempo, nel cuore della Lombardia eretica.
Pur con duecento e più anni d’anticipo, le
idee di Gioacchino da Fiore e degli Spirituali, ritenute potenzialmente pericolose,
sopravvissero nel movimento ereticale dei Fraticelli che nel 1381-89, poco
prima dell’esecuzione degli affreschi campionesi, furono oggetto di ordini d’espulsione
e “roghi purificatori” protrattisi, perlomeno nelle Marche, fino al 1428. Alla
fine del secolo gli Spirituali, confluendo nell'ordine degli Osservanti, parvero scrivere
la parola fine all’intera questione. Non fu così.
La fase di maturazione
conclusiva per l'Osservanza si sarebbe concretizzata con l'adesione al
movimento di grandi personalità come quella di san Bernardino da Siena, grazie al quale le
vecchie tendenze eremico-contemplative lasciarono via via il passo allo studio
e alla predicazione.
Non per nulla nel '500
anche lo "xenodochio", ossia l’ospizio per viandanti di Campione fu
marchiato a fresco col simbolo con “l’orifiamma di san Bernardino”: eppure, questa
prepotente presa di possesso da parte dei Francescani di un luogo che ne aveva
condannato le nefandezze con affreschi eterodossi ha il gusto amaro di
un’appropriazione indebita: nuove ombre celano la verità, in Santa Maria dei
Ghirli.
Se tutto pareva ormai spiegato, ora scopriamo
che il cerchio non si è ancora chiuso.
I problemi che la Chiesa dovette affrontare,
prima con Gioacchino da Fiore, poi con San Francesco e gli Spirituali, pur
coinvolgendo tutta Europa, ebbero come epicentro l’Italia centrale e sempre lì,
addomesticate o soppresse dalla Chiesa ufficiale, si risolsero più o meno
facilmente.
La Lombardia invece, che già in passato aveva
vissuto l'esperienza dei dissidenti patarini in cerca di povertà, umiltà e
semplicità contro la scarsa moralità e l'eccessiva interferenza del clero negli
affari mondani (XI-XIII secc.) era aperta anche, anzi soprattutto agli
influssi ereticali provenienti dal Nord.
Perfino gruppi di eretici catari, fautori di
una nuova purezza spirituale di tipo oltranzista, nonché di una vera propria Chiesa
alternativa a quella Cattolica Romana, sopravvissuti allo sterminio albigese
patito in Francia del sud, agli inizi del Duecento si rifugiarono nella pianura
Padana: la loro sede era Concorezzo, in
Brianza.
La carica sovversiva dei Catari era deflagrante:
l’idea che, per ricoprire una carica importante non si dovesse essere
necessariamente ricchi o nobili portava il discorso ai limiti della rivoluzione
sociale. L’avventura dei catari in Pianura Padana però ebbe vita breve: presto
a Como, a Milano, in Piemonte, a Piacenza e a Verona si accesero nuovi roghi.
Eppure, più che il massacro in massa, pare che a dare il colpo di grazia agli
ultimi catari sarebbe stata la loro vocazione all'isolamento dalla società…
Rocca di Queribus, covo di Catari - Francia, Mìdi Pirenei (XI sec.)
Ci avviciniamo a svelare il mistero del ciclo di Campione d'Italia soltanto introducendo la figura di un ricco mercante di Lione, che verso il 1172 decise di abbandonare tutti i suoi averi donandoli ai poveri e alle chiese del luogo per ritrovare la povertà di Cristo. Predicando il Vangelo, il lionese lo fece tradurre in volgare allo scopo di renderlo accessibile a chi non conosceva il latino. Ed eccoci giunti al nodo cruciale della controversia: mentre Gioacchino da Fiore predicava in Italia, in Francia un uomo ancor più coraggioso propose la sua via personale. Pietro Valdo, (1140-1206) detto “Valdesius”.
Il largo anticipo con cui
Valdesio precorse non solo le novità portate da San Francesco, ma perfino la
Riforma Luterana, ha dell’incredibile. Unica nota stonata, la via di
predicazione preferenziale del lionese contemplava anche una lotta senza
quartiere contro gli eretici, in particolare contro i catari.
Se, tuttavia, si trattava di una guerra
intrapresa anche dalla Chiesa ufficiale, allora perché papa Lucio III incluse
nella lista degli eretici da perseguitare anche i “pauperes de Lugdunum”, i poveri di Lione?
Il motivo è presto spiegato: Valdesio e
seguaci, predicando senza autorizzazione, usurpavano le funzioni della Chiesa. Perché
lo facevano? Perché il Clero incaricato di perseguitare gli eretici,
sostenevano i seguaci di Valdo, non avevano né le capacità né la volontà di
farlo.
In Lombardia il rapporto tra
i Valdesi e le realtà circostanti non fu conflittuale come Oltralpe. Ciò col tempo gettò perfino le basi per una sorta di tacito “patto di non belligeranza” con gli odiati
catari, al fine di condividere i propri insediamenti con loro e altri gruppi di
eretici. L'unione fa la forza.
Entrati in contatto con le potenti
istituzioni comunali, il successo fu tale che a Milano i Valdesi ottennero una “Schola” tutta loro per riunirsi a predicare
pubblicamente il Vangelo, in competizione con i Francescani Osservanti.
Nonostante il riconoscimento di Papa
Innocenzo III (1208) gettasse le basi
per la nascita di un vero e proprio ordine religioso controllato dall'alto,
coloro che restavano ancora fedeli all'idea delle origini, in parte francesi
("ultramontani") in parte lombardi ("ytalici"), declinarono l’offerta.
Il rifiuto di essere addomesticati dalla
Chiesa di Roma, che peraltro continuava a considerare il fondatore Valdesio “come
uno dei più tignosi eretici”, avrebbe trasmesso alla successiva storiografia
protestante l’esempio vivente di “un testimone della verità repressa” dal
papato oscurantista.
* 4° tappa: tornando a Campione…la verità torna a galla.
“Patto di non belligeranza” con gli odiati catari, condivisione degli
insediamenti con altri gruppi di eretici: è così che si svelano nuovi moti anticlericali
insabbiati dalla storia ufficiale, e con essi il ruolo di Santa Maria dei
Ghirli. Proprio sul finire del Trecento, anche col contributo della
peste e l’ingresso nel nuovo secolo, nel ducato di Milano era in corso lo
scontro tra due opposte fazioni religiose: da una parte quella dei Bianchi,
attivi in seno alla Chiesa e particolarmente devoti alla Vergine; dall'altra, piccoli gruppi strettamente aderenti al principio neotestamentario secondo cui “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini” (Atti 5,29), in cerca di un contatto diretto con un Dio che rifiutava qualsiasi gerarchia ecclesiastica:
probabilmente, si tratta sempre dei Valdesi.
Questo dilagante fenomeno
sociale, basato soprattutto sulla comunicazione orale e su commenti alle Sacre
Scritture andati tutti bruciati, a Campione d’Italia sopravvisse sulle pareti
affrescate del ciclo di Santa
Maria dei Ghirli.
La verità è così svelata: la drammatica rappresentazione
di Campione andrebbe letta come espressione delle aspirazioni di misticismo e
spiritualità, alla ricerca di un contatto diretto con Dio, volto rifiutare
qualsiasi gerarchia ecclesiastica. Queste sono le stesse aspettative nutrite da
molti abitanti del piccolo mondo delle valli alpine e prealpine, lombarde e
svizzere, ispirati dalle idee giunte fin qui dalla Provenza e dalla Germania.
E così, con la quarta
tappa, ci prepariamo a svelare anche l’ultimo enigma circa la misteriosa “schola”
di committenti del ciclo.
Se, secondo Pietro Valdo, i predicatori non
dovevano lavorare, bensì vivere in povertà e di offerte sul modello di Cristo e
dei suoi apostoli al fine di scampare alla brama di ricchezze e alla
corruzione, i predicatori Valdesi di Lombardia, separandosi
da Valdo e scegliendosi
un nuovo capo nella persona del piacentino Giovanni da Ronco detto il Buono,
coltivarono invece un nuovo principio che più lombardo di così non poteva
essere: ritenendo che il lavoro nobilitasse l’anima, essi entrarono a far parte di
comunità di lavoratori come le maestranze Campionesi: gruppi di scultori,
architetti e pittori organizzati anche su base familiare che, ricordiamolo,
partendo da qui svolsero un ruolo di grande rilievo nella storia dell'arte
italiana ed europea per tutto il XIV secolo e oltre.
La “schola”
commissionaria degli affreschi di Campione andrebbe verosimilmente identificata
con gli “eretici” scampati ai massacri, provenienti da svariate correnti pro-operistiche,
popolari, apostoliche e “fraticelliste”, unite dalla tregua tra Valdesi e
Catari e dalla comune certezza che la salvezza personale, senza intermediazioni
di sorta, oltre che dalla Fede dipendesse anche dall'impegno personale nel
mondo concreto. E’ più che probabile che il santuario, nel quale non si sono
mai officiate cerimonie abituali, costituisse luogo di ospitalità e rifugio per
gli eretici lungo la strada tra il passo alpino del San Gottardo e la pianura
Padana.
Come tutti i movimenti detti
"ereticali", anche quello valdese fu oggetto di repressioni e
persecuzioni sanguinose da parte dei poteri civili e religiosi ma, a differenza
dei catari, non si fece piegare dall'inquisizione. Vivendo in clandestinità, spesso
celandosi in zone marginali, il movimento valdese si affacciò quasi incolume al XVI secolo
e nel 1532,
aderendo alla Riforma protestante calvinista, sopravvisse. Quando “l’orifiamma
di san Bernardino veniva dipinta sulla parete dell'ospizio per i pellegrini di Campione, gli
“eretici” se n’erano già andati. Oggi i Valdesi vivono sotto l’ala della Chiesa
Protestante in forma di confessione riconosciuta, evangelica e riformata...
Marco Corrias (alias Marc Pevèn)
BIBLIOGRAFIA:
Algeri, G. Pittura in Lombardia nel primo Quattrocento, in La Pittura in
Italia, Milano 1987
Bandera, S. Il Tardogotico, in Pittura a Como e nel Canton Ticino, Milano, 1994
Bellosi, L, Buffalmacco e il
Trionfo della Morte. Torino, E, 1974.
Bianconi. P. La pittura medievale nel Canton
Ticino, Milano 1939
Gregori, M. A proposito dei De Veris, in Paragone, VIII, Milano, 1957
Merlo, G. G. Valdo. L'eretico di Lione, Torino, Claudiana, 2010
Matalon, S., Mazzini, F. Affreschi del Tre e del Quattrocento in Lombardia, Milano 1958
Percivaldi, E, La vita segreta nel Medioevo, Milano, 2013
Rutz, V. Segre. Intorno agli affreschi di Lanfranco e Filippolo de Veris a Campione,
Milano, 1988
Toesca, P. Il Trecento, Torino 1951
Toesca, P. La pittura e la miniatura nella Lombardia, Torino 1966
Violeta Artemisia Craciunescu Letto, ho visto un collegamento impressionante che unisce vari punti dell'Italia
RispondiEliminaPurtroppo le mie conoscenze sono limitate per esprimere pareri
Ecco perché il tuo contributo è essenziale ad illuminarci
Grazie Marc Pevén
Obbligati tutti noi
Violeta
Splendido...molto completo.La verità emerge sempre...anche quella più violentemente soppressa,spesso trova nell'arte una forma di cominicazione"senza parole"ma,tramite il simbolismo,ugualmente molto efficace.Meno male!!
RispondiEliminaEli
Io dopo aver letto questo meraviglioso articolo scritto dal ricercatore Marc Pevén ...in questi giorno andri' sicuramente a Campione a vedere questi affreschi ..finora solo guardati senza comprenderne il significato...
RispondiEliminaLo propongo anche a Voi...
Magari avrete a vostra volta, il piacere di farlo !!@! Buon fine settimana!!!
Perla
l'articolo mi è piaciuto ottimo sviluppo, tema interessante. Mi viene da dire trama intrigante perché in effetti presenti i tuoi pezzi come se fossero...libri! Avvincenti. Con colpi di scena. Sviluppi imprevisti. E ogni volta vedo che aumenti in entusiasmo e in professionalità. Stai crescendo...ragazzo!!! �� ogni volta che pubblichi ti leggo tutto d un fiato. Ogni tuo articolo e' una mini-tesi!!!
RispondiEliminaMarina