Camera voltata a falsa botte dal sito archeologico di Castelluccio I (Montecrestese)
Sospeso a metà strada tra leggenda e realtà, lo storico greco Erodoto narrò di una terra ai confini del mondo allora noto, chiamata "Iperborea”, dove il dio Apollo usava trasferirsi come ospite per 6 mesi l’anno, al fine di ammirarvi un sole che non tramontava mai. I suoi abitanti, ignari della discordia, delle malattie e perfino della morte stessa, vivevano nel fitto di boschi sacri dedicando riti in onore del dio-Sole, loro ospite. Fu così che il termine greco “iperboreo”, attribuito agli indigeni del nord Europa, assunse il significato di “felice”.
Come abbiamo visto, anche l’archeologo che si imbatta nel mito non deve sottovalutarlo come fosse una fiaba, ma interpretarlo come un’antica pergamena e leggervi tra le righe.
Non a caso, nel corso dell'anno il solstizio
ricorre due volte: quando il sole raggiunge il suo valore massimo di
declinazione positiva (giugno, solstizio d'estate) e negativa, in dicembre
(solstizio invernale, Yule). Nel periodo del solstizio d’estate il potere di
Apollo si affievoliva, in quanto il dio solare si recava a settentrione del
mondo lasciando i popoli mediterranei nella tenebra.
Gruppo scultoreo con Apollo e le sue ancelle
Letteralmente il termine “iperborei”, coniato
dagli stoici greci, significa "coloro che vivono oltre (hyper) il vento di
settentrione (Borea): il riferimento va a un popolo stanziato in una terra
lontanissima situata a nord della Grecia (Danubio, Urali…e anche presso le
sorgenti dell’Eridano, ossia del fiume Po!).
Questa rilettura, operata da Erodoto sui miti pur sempre indoeuropei ma ritenuti "barbarici", costituisce una pallida ma preziosa testimonianza di popoli di probabile provenienza settentrionale: la stessa figura di Apollo celava i tratti di Belenos, lo splendente dio solare dei Celti.
Questa rilettura, operata da Erodoto sui miti pur sempre indoeuropei ma ritenuti "barbarici", costituisce una pallida ma preziosa testimonianza di popoli di probabile provenienza settentrionale: la stessa figura di Apollo celava i tratti di Belenos, lo splendente dio solare dei Celti.
Masso preistorico con sciamano inciso: scoperta inedita dello scrivente
Nei tempi in cui il cielo era
creduto vicinissimo agli uomini, il grande masso che penetrava nelle viscere
della terra era il luogo adibito a punto d’unione tra la sacralità celeste e
quella tellurica: quasi uno sposalizio fra Terra e Cielo che, col
tramite del sacerdote, consentiva la comunicazione con gli dei, (se non
addirittura, il passaggio da una regione cosmica all'altra da parte di un
iniziato.) Secondo alcuni popoli asiatici le stelle erano le finestre del mondo:
aperture create per comunicare con gli dei.
Lago Maggiore poco dopo il tramonto. Sponda piemontese vista da quella lombarda
Cerchi di pietre e pietre-fitte: aree d'accesso privilegiato ed
esclusivo del gutuàter”, il sacerdote addetto alla custodia del
santuario.
All’interno di un rinnovato sistema sociale organizzato su base tribale e fondato su un’autorità religiosa importante, le nuove tecniche agricole richiedevano la necessità di un sistema calendariale: in tutta Europa, grazie una “meridiana astronomica” di pietra e ai relativi “esperti”, era possibile calcolare previsioni per una conoscenza più approfondita dei mutamenti metereologici, stagionali e uno sfruttamento più efficace delle colture. Tali attività si legano ai riti di fertilità.
All’interno di un rinnovato sistema sociale organizzato su base tribale e fondato su un’autorità religiosa importante, le nuove tecniche agricole richiedevano la necessità di un sistema calendariale: in tutta Europa, grazie una “meridiana astronomica” di pietra e ai relativi “esperti”, era possibile calcolare previsioni per una conoscenza più approfondita dei mutamenti metereologici, stagionali e uno sfruttamento più efficace delle colture. Tali attività si legano ai riti di fertilità.
Tipici vitigni terrazzati di montagna
A proposito dei rari e preziosi
siti megaliti situati presso Montecrestese, ai piedi dei monti ossolani (Vco),
fino ad ora gli archeologi hanno identificato nell'area ben 15 strutture, non ancora
tutte adeguatamente studiate. Attraverso lo studio delle caratteristiche
ricorrenti dei due siti più noti, ossia Croppola e Castelluccio I da cui, forse
anche per via della frana provocata dall'alluvione del 2000, non è emerso alcun
elemento che permetta la datazione e la destinazione: in assenza di materiali
che indichino la presenza umana (cocci, utensili, ossa umane e animali) ossia
di fossili-guida che rendano possibile la datazione, ogni ipotesi è possibile
ma non dimostrabile.
Limitiamoci ad interpretare ciò di cui disponiamo: leggiamo le pietre e
la loro posizione.
Colline terrazzate di origine preistorica dell'Ossola (Copiatti - De Giuli 2003)
La collina stessa, fotografata in
inverno, svelerà un sistema di complessi terrazzamenti quadrangolari simili a quelli dei vitigni, disposti lungo tutto il
crinale in serie, digradanti e in posizione ortogonale rispetto ai monti affacciati
ad ovest: si tratta di un'opera imponente, realizzata per certo durante un
lungo arco di tempo.
I terrazzamenti stessi furono delimitati e rafforzati da grandi muraglioni di pietre, nelle cui pareti
di pietre a secco sono state ricavate delle cavità: camere coperte a falsa volta, a creare ambienti dotati di aperture
verso l'esterno, dalla soglia trapezoidale. La presenza, di fronte a tali
muraglie, di gruppi di grossi blocchi di
pietra infissi verticalmente nel terreno (menhir) indica che tali luoghi furono
osservatori astronomici destinati al culto.
Sito archeologico di Croppola (Montecrestese)
Il prospetto del sito di Croppola mostra un cerchio di pietre
(attualmente un semicerchio) forse anticamente crollato. In questo caso, i
menhir in questione sono monoliti di forma allungata (80-140 cm) privi di
coppelle e decorazioni che, infissi verticalmente nel terreno e disposti ad
arco, descrivono un'ellissi irregolare rispetto di un ipotetico centro: il
masso-altare.
Menhir dal sito archeologico di Castelluccio I (Montecrestese)
Anche i menhir posti sul terrapieno superiore del sito di Castelluccio I, collocati sul bordo della struttura muraria
a secco, non si trovano lì senza scopo: considerando il luogo dove le strutture
sono state edificate, cioè una stretta valle, la scelta del sito non dovette essere casuale, ma voluta e
cercata per il suo particolare orientamento solstiziale.
I menhir di Croppola e
Castelluccio costituivano osservatori astronomici, eretti
al fine di delineare appositi punti di stazione: essi definivano un certo
numero di linee astronomicamente significative, connesse con i punti di
tramonto del sole nei giorni dei solstizi e degli equinozi, lungo un'periodo di
tempo esteso dall’età del Bronzo in poi.
Castelluccio I, sezione del sito (Due Passi nel Mistero, 2011)
Ricordandoci, a tal proposito,
che il sole sorge ad est e tramonta ad ovest, e che anche le strutture murarie
del sito di Castelluccio I sono allineate in modo da essere ortogonali, ossia
perpendicolari (ad angolo retto) alla direzione del tramonto del sole al
solstizio d'inverno lungo la linea dell'orizzonte rappresentato dalle montagne
sullo sfondo: a Castelluccio, le 12
pietre fitte disegnavano altrettante linee astronomiche significative.
Una di queste linee va a coincidere con l'asse dell'ingresso alla
camera a falsa volta praticata nel muro megalitico alle spalle dei
menhir, proprio allo
scoccare del solstizio d’inverno. Ciò vuol dire che in quel giorno i
raggi del sole che tramontava illuminavano l'interno della camera
alle spalle del menhir.
La fonte della Mojenca (Co) presenta affinità con le camere voltate a botte di Montecrestese
Considerando che un fenomeno analogo
si verifica anche presso la nicchia pietrosa della sorgente captata della
Mojenca presso il parco archeologico comasco della Spina Verde, anche in questo caso sarebbe
affascinante interpretare le stanze a volta, rischiarate da un raggio al tramonto per
il breve periodo del solstizio invernale (13 gennaio nel 3000 a.C. / 26
dicembre nel 500 a.C.), come caverne cosmiche: nicchie votive, rappresentazioni
simboliche del ventre della Madre Terra.
Il solstizio, dal latino “sol-sistere” (fermarsi), in astronomia è
il momento in cui il sole raggiunge, lungo l'eclittica (ossia nel suo moto
apparente), della durata di un anno, il suo periodo di maggior declinazione
massima o minima.
La declinazione astronomica è una coordinata equatoriale che serve a misurare la declinazione: positiva per i punti a Nord dell'equatore, negativa per quelli a sud.
La declinazione astronomica è una coordinata equatoriale che serve a misurare la declinazione: positiva per i punti a Nord dell'equatore, negativa per quelli a sud.
Inverno il val d'Ossola
Sono molte le interpretazioni di “Yule” o solstizio d’inverno: un rito
che implica morte, trasformazione e rinascita.
Quando l'anno volgeva al termine, le notti si allungano e le ore di luce erano sempre più brevi, era il momento dell'anno che i popoli primitivi percepivano come più drammatico e paradossale.
Se il Sole era un dio, il diminuire della sua forza era considerato come declino e decesso: una fase di tenebra e morte della natura solo apparente.
Nel momento stesso del suo trionfo, infatti, l'oscurità cedeva già il passo alla luce che lentamente iniziava a prevalere sulle brume invernali.
Quando l'anno volgeva al termine, le notti si allungano e le ore di luce erano sempre più brevi, era il momento dell'anno che i popoli primitivi percepivano come più drammatico e paradossale.
Se il Sole era un dio, il diminuire della sua forza era considerato come declino e decesso: una fase di tenebra e morte della natura solo apparente.
Nel momento stesso del suo trionfo, infatti, l'oscurità cedeva già il passo alla luce che lentamente iniziava a prevalere sulle brume invernali.
I raggi del solstizio invernale al tramonto ritualizzavano il momento in
cui si consumano le nozze tra il dio del Sole Belenos e la dea della fertilità
Belisama: l’amplesso cosmico tra il giorno più breve e la notte più lunga
dell’anno inaugurava il ritorno alla vita: il dio del Sole era già sulla via
del ritorno a casa.
O forse che il vecchio sole, reinterpretato come un re oscuro, morisse, sostituito da un sole bambino che nasceva all'alba dal ventre della Madre Terra? Il Cristianesimo avrebbe reinterpretato queste credenze, per farle proprie.
Moto est-ovest del sole su Montecrestese durante il solstizio invernale (Lavoro dell'autore su Google Earth)
O forse che il vecchio sole, reinterpretato come un re oscuro, morisse, sostituito da un sole bambino che nasceva all'alba dal ventre della Madre Terra? Il Cristianesimo avrebbe reinterpretato queste credenze, per farle proprie.
In ogni caso, il dio del Sole era
legato inevitabilmente al mondo vegetale, che con lo sviluppo dell'agricoltura
si trasferì dalla vegetazione selvatica alla coltivazione di cereali. Al
ritorno del Sole era infatti legato anche il miracolo della rinascita del
grano, che probabilmente cresceva sulla pianura antistante la collina di
Montecrestese.
Campi di grano (Warwickshire, Inghilterra)
Pianta sacra del solstizio
d'inverno è il vischio, le cui
bacche lucide e bianche ricordano il fluido maschile; una pianta considerata discesa dal cielo, figlia del fulmine, emanazione
divina. L'unione magica tra la pianta del vischio e la quercia, albero
sacro dell'eternità, rigenerazione e di immortalità.
Bacche di vischio
La presenza in una terra di mezzo di fenomeni di sincretismo culturale, dovuto al contatto con le popolazioni liguri di ed
etrusche, ha anche visto probabili ipotesi.
Il vischio, pianta rampicante, porta con sé significati simbolici
analoghi a quello della vite, pianta
sacra a Dioniso, a sua volta diede la vegetazione prima ancora che del vino.
Da tutto ciò si potrebbe
ipotizzare che, sebbene l'orientamento non sia particolarmente favorevole alla
coltura della vite, in quanto altrimenti esposta al sole solo durante la
seconda metà della giornata, questi
terrazzamenti potrebbero essere stati ugualmente adibiti a vigneti sacri.
Non per nulla anche Dioniso, dio della vite e dell’edera sempreverde,
fu dio dell’immortalità.
Testo: Marco Corrias (alias Marc Pevèn)
Foto: (1-6-7-9-11-12 dell'autore / 2-4-13-14 Wikipedia / 5 Copiatti Poletti Ecclesia / 8, Due Passi nel Mistero)
Bibliografia
Vitigni montani
Testo: Marco Corrias (alias Marc Pevèn)
Foto: (1-6-7-9-11-12 dell'autore / 2-4-13-14 Wikipedia / 5 Copiatti Poletti Ecclesia / 8, Due Passi nel Mistero)
Bibliografia
AAVV - Alle origini di Varese e del suo territorio – L’erma di Bretschneider
AAVV - Archeologia in Lombardia
AA.VV - La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d’Italia – Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università degli Studi di Milano 2007
T. Bettamini, Storia di Montecrestese, Oscellana
M. A. Binaghi, I cromlech del Monsorino
R. Corbella, Celti: itinerari storici e turistici tra Lombardia, Piemonte, Svizzera, Macchione, Varese
R. Corbella, Magia e mistero nella terra dei Celti: Como, Varesotto, Ossola, Macchione, Varese
R. De Marinis, Liguri e Celto - Liguri in Italia. Omniun terrarum alumna, Garzanti - Scheiwiller
R. C. De Marinis, La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d'Italia
R. De Marinis, S. Biaggio Simona - I Leponti tra mito e realtà, 2000
A. Gaspani, Il grande cerchio di pietra degli antichi Comenses – Associazione culturale Terra Insubre
A. Gaspani, L’enigma delle strutture megalitiche della val d’Ossola – .N.A.F
B. Ragazzoni – L’uomo preistorico nella provincia di Como
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