martedì 2 agosto 2016

Montecrestese, enigmatica Micene ossolana


Camera voltata a falsa botte dal sito archeologico di Castelluccio I (Montecrestese)

Sospeso a metà strada tra leggenda e realtà, lo storico greco Erodoto narrò di una terra ai confini del mondo allora noto, chiamata "Iperborea”, dove il dio Apollo usava trasferirsi come ospite per 6 mesi l’anno, al fine di ammirarvi un sole che non tramontava mai. I suoi abitanti, ignari della discordia, delle malattie e perfino della morte stessa, vivevano nel fitto di boschi sacri dedicando riti in onore del dio-Sole, loro ospite. Fu così che il termine greco “iperboreo”, attribuito agli indigeni del nord Europa, assunse il significato di “felice”.
Come abbiamo visto, anche l’archeologo che si imbatta nel mito non deve sottovalutarlo come fosse una fiaba, ma interpretarlo come un’antica pergamena e leggervi tra le righe.
Non a caso, nel corso dell'anno il solstizio ricorre due volte: quando il sole raggiunge il suo valore massimo di declinazione positiva (giugno, solstizio d'estate) e negativa, in dicembre (solstizio invernale, Yule). Nel periodo del solstizio d’estate il potere di Apollo si affievoliva, in quanto il dio solare si recava a settentrione del mondo lasciando i popoli mediterranei nella tenebra.

Gruppo scultoreo con Apollo e le sue ancelle

Letteralmente il termine “iperborei”, coniato dagli stoici greci, significa "coloro che vivono oltre (hyper) il vento di settentrione (Borea): il riferimento va a un popolo stanziato in una terra lontanissima situata a nord della Grecia (Danubio, Urali…e anche presso le sorgenti dell’Eridano, ossia del fiume Po!).
Questa rilettura, operata da Erodoto sui miti pur sempre indoeuropei ma ritenuti "barbarici", costituisce una pallida ma preziosa testimonianza di popoli di probabile provenienza settentrionale:  la stessa figura di Apollo celava i tratti di Belenos, lo splendente dio solare dei Celti.

Masso preistorico con sciamano inciso: scoperta inedita dello scrivente

Nei tempi in cui il cielo era creduto vicinissimo agli uomini, il grande masso che penetrava nelle viscere della terra era il luogo adibito a punto d’unione tra la sacralità celeste e quella tellurica: quasi uno sposalizio fra Terra e Cielo che, col tramite del sacerdote, consentiva la comunicazione con gli dei, (se non addirittura, il passaggio da una regione cosmica all'altra da parte di un iniziato.) Secondo alcuni popoli asiatici le stelle erano le finestre del mondo: aperture create per comunicare con gli dei.

Lago Maggiore poco dopo il tramonto. Sponda piemontese vista da quella lombarda

Cerchi di pietre e pietre-fitte: aree d'accesso privilegiato ed esclusivo del gutuàter”, il sacerdote addetto alla custodia del santuario.
All’interno di un rinnovato sistema sociale organizzato su base tribale e fondato su un’autorità religiosa importante, le nuove tecniche agricole richiedevano la necessità di un sistema calendariale: in tutta Europa, grazie una “meridiana astronomica” di pietra e ai relativi “esperti”, era possibile calcolare previsioni per una conoscenza più approfondita dei mutamenti metereologici, stagionali e uno sfruttamento più efficace delle colture. Tali attività si legano ai riti di fertilità.

Tipici vitigni terrazzati di montagna

A proposito dei rari e preziosi siti megaliti situati presso Montecrestese, ai piedi dei monti ossolani (Vco), fino ad ora gli archeologi hanno identificato nell'area ben 15 strutture, non ancora tutte adeguatamente studiate. Attraverso lo studio delle caratteristiche ricorrenti dei due siti più noti, ossia Croppola e Castelluccio I da cui, forse anche per via della frana provocata dall'alluvione del 2000, non è emerso alcun elemento che permetta la datazione e la destinazione: in assenza di materiali che indichino la presenza umana (cocci, utensili, ossa umane e animali) ossia di fossili-guida che rendano possibile la datazione, ogni ipotesi è possibile ma non dimostrabile.

Limitiamoci ad interpretare ciò di cui disponiamo: leggiamo le pietre e la loro posizione.

Colline terrazzate di origine preistorica dell'Ossola (Copiatti - De Giuli 2003)

La collina stessa, fotografata in inverno, svelerà un sistema di complessi terrazzamenti quadrangolari simili a quelli dei vitigni, disposti lungo tutto il crinale in serie, digradanti e in posizione ortogonale rispetto ai monti affacciati ad ovest: si tratta di un'opera imponente, realizzata per certo durante un lungo arco di tempo.
I terrazzamenti stessi furono delimitati e rafforzati da grandi muraglioni di pietre, nelle cui pareti di pietre a secco sono state ricavate delle cavità: camere coperte a falsa volta, a creare ambienti dotati di aperture verso l'esterno, dalla soglia trapezoidale. La presenza, di fronte a tali muraglie, di gruppi di grossi blocchi di pietra infissi verticalmente nel terreno (menhir) indica che tali luoghi furono osservatori astronomici destinati al culto.  

Sito archeologico di Croppola (Montecrestese)


Il prospetto del sito di Croppola mostra un cerchio di pietre (attualmente un semicerchio) forse anticamente crollato. In questo caso, i menhir in questione sono monoliti di forma allungata (80-140 cm) privi di coppelle e decorazioni che, infissi verticalmente nel terreno e disposti ad arco, descrivono un'ellissi irregolare rispetto di un ipotetico centro: il masso-altare.

Menhir dal sito archeologico di Castelluccio I (Montecrestese)

Anche i menhir posti sul terrapieno superiore del sito di Castelluccio I, collocati sul bordo della struttura muraria a secco, non si trovano lì senza scopo: considerando il luogo dove le strutture sono state edificate, cioè una stretta valle, la scelta del  sito non dovette essere casuale, ma voluta e cercata per il suo particolare orientamento solstiziale.
I menhir di Croppola e Castelluccio costituivano osservatori astronomici, eretti al fine di delineare appositi punti di stazione: essi definivano un certo numero di linee astronomicamente significative, connesse con i punti di tramonto del sole nei giorni dei solstizi e degli equinozi, lungo un'periodo di tempo esteso dall’età del Bronzo in poi.

Castelluccio I, sezione del sito (Due Passi nel Mistero, 2011)

Ricordandoci, a tal proposito, che il sole sorge ad est e tramonta ad ovest, e che anche le strutture murarie del sito di Castelluccio I sono allineate in modo da essere ortogonali, ossia perpendicolari (ad angolo retto) alla direzione del tramonto del sole al solstizio d'inverno lungo la linea dell'orizzonte rappresentato dalle montagne sullo sfondo: a Castelluccio, le 12 pietre fitte disegnavano altrettante linee astronomiche significative.
Una di queste linee va a coincidere con l'asse dell'ingresso alla camera a falsa volta praticata nel muro megalitico alle spalle dei menhir, proprio allo scoccare del solstizio d’inverno. Ciò vuol dire che in quel giorno i raggi del sole che tramontava illuminavano l'interno della camera alle spalle del menhir.

La fonte della Mojenca (Co) presenta affinità con le camere voltate a botte di Montecrestese

Considerando che un fenomeno analogo si verifica anche presso la nicchia pietrosa della sorgente captata della Mojenca presso il parco archeologico comasco della Spina Verde, anche in questo caso sarebbe affascinante interpretare le stanze a volta, rischiarate da un raggio al tramonto per il breve periodo del solstizio invernale (13 gennaio nel 3000 a.C. / 26 dicembre nel 500 a.C.), come caverne cosmiche: nicchie votive, rappresentazioni simboliche del ventre della Madre Terra.
Il solstizio, dal latino “sol-sistere” (fermarsi), in astronomia è il momento in cui il sole raggiunge, lungo l'eclittica (ossia nel suo moto apparente), della durata di un anno, il suo periodo di maggior declinazione massima o minima.
La declinazione astronomica è una coordinata equatoriale che serve a misurare la declinazione: positiva per i punti a Nord dell'equatore, negativa per quelli a sud.

Inverno il val d'Ossola

Sono molte le interpretazioni di “Yule” o solstizio d’inverno: un rito che implica morte, trasformazione e rinascita.
Quando l'anno volgeva al termine, le notti si allungano e le ore di luce erano sempre più brevi, era il momento dell'anno che i popoli primitivi percepivano come più drammatico e paradossale.
Se il Sole era un dio, il diminuire della sua forza era considerato come declino e decesso: una fase di tenebra e morte della natura solo apparente.
Nel momento stesso del suo trionfo, infatti, l'oscurità cedeva già il passo alla luce che lentamente iniziava a prevalere sulle brume invernali.
I raggi del solstizio invernale al tramonto ritualizzavano il momento in cui si consumano le nozze tra il dio del Sole Belenos e la dea della fertilità Belisama: l’amplesso cosmico tra il giorno più breve e la notte più lunga dell’anno inaugurava il ritorno alla vita: il dio del Sole era già sulla via del ritorno a casa.

Moto est-ovest del sole su Montecrestese durante il solstizio invernale (Lavoro dell'autore su Google Earth)

O forse che il vecchio sole, reinterpretato come un re oscuro, morisse, sostituito da un sole bambino che nasceva all'alba dal ventre della Madre Terra? Il Cristianesimo avrebbe reinterpretato queste credenze, per farle proprie.
In ogni caso, il dio del Sole era legato inevitabilmente al mondo vegetale, che con lo sviluppo dell'agricoltura si trasferì dalla vegetazione selvatica alla coltivazione di cereali. Al ritorno del Sole era infatti legato anche il miracolo della rinascita del grano, che probabilmente cresceva sulla pianura antistante la collina di Montecrestese.

Campi di grano (Warwickshire, Inghilterra)

Pianta sacra del solstizio d'inverno è il vischio, le cui bacche lucide e bianche ricordano il fluido maschile; una pianta considerata discesa dal cielo, figlia del fulmine, emanazione divina. L'unione magica tra la pianta del vischio e la quercia, albero sacro dell'eternità, rigenerazione e di immortalità.

Bacche di vischio 

La presenza in una terra di mezzo di fenomeni di sincretismo culturale, dovuto al contatto con le popolazioni liguri di ed etrusche, ha anche visto probabili ipotesi.
Il vischio, pianta rampicante, porta con sé significati simbolici analoghi a quello della vite, pianta sacra a Dioniso, a sua volta diede la vegetazione prima ancora che del vino.
Da tutto ciò si potrebbe ipotizzare che, sebbene l'orientamento non sia particolarmente favorevole alla coltura della vite, in quanto altrimenti esposta al sole solo durante la seconda metà della giornata, questi terrazzamenti potrebbero essere stati ugualmente adibiti a vigneti sacri.

Non per nulla anche Dioniso, dio della vite e dell’edera sempreverde, fu dio dell’immortalità.

Vitigni montani

Testo: Marco Corrias (alias Marc Pevèn)

Foto: (1-6-7-9-11-12 dell'autore /  2-4-13-14 Wikipedia / 5 Copiatti Poletti Ecclesia / 8, Due Passi nel Mistero)


Bibliografia
AAVV - Alle origini di Varese e del suo territorio – L’erma di Bretschneider
AAVV - Archeologia in Lombardia
AA.VV - La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d’Italia – Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università degli Studi di Milano 2007
T. Bettamini, Storia di Montecrestese, Oscellana
M. A. Binaghi, I cromlech del Monsorino
R. Corbella, Celti: itinerari storici e turistici tra Lombardia, Piemonte, Svizzera, Macchione, Varese
R. Corbella, Magia e mistero nella terra dei Celti: Como, Varesotto, Ossola, Macchione, Varese
R. De Marinis, Liguri e Celto - Liguri in Italia. Omniun terrarum alumna, Garzanti - Scheiwiller
R. C. De Marinis, La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d'Italia
R. De Marinis, S. Biaggio Simona - I Leponti tra mito e realtà, 2000
A. Gaspani, Il grande cerchio di pietra degli antichi Comenses – Associazione culturale Terra Insubre
A. Gaspani, L’enigma delle strutture megalitiche della val d’Ossola – .N.A.F
B. Ragazzoni – L’uomo preistorico nella provincia di Como

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