lunedì 25 luglio 2016

Nuda bellezza "a rilievo". Sensualità femminile nel Medioevo.




Alla caduta dell’impero Romano (476 d.C data canonica) con l'Alto Medioevo la nudità è bandita per svariati motivi. Da un lato i barbari, legati a un paganesimo naturalistico, privi d’interesse per il corpo umano prediligono geometrie astratte trasposte nell’oreficeria e negli oggetti mobili, d’uso quotidiano (armi, gioielli e finimenti equestri). Per i bizantini invece il nudo, in particolare quello femminile, è oggetto di un vero e proprio tabù: in una società in via di cristianizzazione la statua a tutto tondo rimanda al temuto paganesimo classico. I greci stessi, inventori dell’arte totale, a contatto col tabù ebraico della legge mosaica, cristianizzandosi si fanno filosofi e teorici di una purezza trascendentale che vieta la materia e con essa la carne! Per questo, l'immagine femminile più potente mostrata in questa sede è un mosaico di donna vestita: l'imperatrice Teodora (546-8 d.C) nella basilica di San vitale a Ravenna, con tanto corteo imperiale. Nonostante gli studiosi, per decenni, abbiano accusato l’età di mezzo di un impoverimento dell’arte, qui il rinnovamento é totale.

Quando la dea si reincarnò in donna regale...
Eppure, la sovrana al centro della composizione è protagonista quanto Lilith o Potnia Theron. Imperatrice cristiana avvolta in un manto di porpora, Teodora ci affascina con la potenza della sua frontalità autoritaria; il suo sguardo magnetico traspare oltre il diadema tempestato di gemme, i pendenti, il fondo oro. La stilizzazione del volto è la forza della motivazione di Teodora, nell'atto di recare un'offerta in un calice votivo. Tutto contribuisce a conferirle un'impressione di leggerezza atemporale, sottolineata dal lento movimento paratattico del corteo di nobili donne: Quest’arte nuova troverà ulteriore linfa nelle figure divine delle icone bizantine. Da parte sua, Teodora era tutto fuorché una santa: di umilissime origini, era stata la figlia (guarda caso) di un guardiano di belve nell'Ippodromo di Costantinopoli. Avviata dalla madre e dalle sorelle alla carriera teatrale, per non dire alla prostituzione (tra i due mestieri, al tempo non esisteva una separazione netta), presto Teodora avrebbe fatto parlar di sé come licenziosa danzatrice e cortigiana insaziabile: proprio come un’antica dea della fertilità. Presto questa “donna del popolo”, col suo fascino e la sua furbizia, irretì facilmente l’imperatore Giustiniano, diventandone consorte e temibile donna di politica…tanto che, già allora, qualcuno parlò già di stregoneria e filtri magici.



Un’alternativa scultorea dell’immagine di Teodora, oltre all’impassibile ritratto del castello Sforzesco di Milano, si riscontra nel bellissimo busto dell’imperatrice Eudossia (V sec, Museo arch. di Como): ritratto di una sfortunata giovane, fidanzata a due anni al cinquenne imperatore Valentiniano, poi sposato all’età di quindici e fatta prigioniera dal barbaro vandalo Genserico dopo la morte violenta del consorte. Nel 462 Eudossia, di nuovo libera, si recò a Costantinopoli in visita a un eremita cristiano: lo stilita Daniele. Il volto immoto ed estremamente semplificato dell’imperatrice, rigidamente frontale come nel mosaico di Teodora, segue il nuovo tipo iconografico. Il viso minuto della fanciulla, sovrastato dal pesante diadema, il suo sguardo malinconico dalle iridi eseguite col trapano elicoidale lascia trasparire tutta la sua malinconia: indubbiamente, i tempi sono davvero cambiati.



Come dicevamo, messa da parte la statuaria, per tutto l’alto Medioevo il ruolo d’arte guida spetta all'oreficeria. Il corpo è ormai un tabù. I teologi possono rivalutarlo soltanto come involucro: un “sacro tempio dell’anima”, che deve essere ad ogni costo preservato dagli impulsi carnali, forieri di grave peccato al cospetto di Dio. Eppure gli istinti continuano a esistere. Bisognava cercare un colpevole, anzi, una colpevole: E chi, se non quella stessa donna, macchiatasi per secoli di aver irretito un uomo con l'inganno, attraverso il ricorso a una nudità cruda e morbosa? Chi, se non Eva, incarna questo un capro espiatorio?

E infine, la donna fu resa terrena...
Eva, prima della colpa, non conosce il pudore ed espone ingenuamente la nudità dei suoi seni e del suo ventre, in cui non vi è stata ancora contaminazione. Tuttavia, sovente, nella mano destra già impugna, se pur ancora inconsapevole delle irreversibili conseguenze, il pomo della discordia: il frutto della gnosi. Agli occhi di Dio Eva ha commesso un tabù: alla stregua di Prometeo che diede il fuoco agli uomini, osa elevare se stessa e il suo uomo a un livello superiore di conoscenza. Perciò, nel bene come nel male, nel Medioevo le nudità di Eva come modella favorita rimpiazzano le antiche dee: si potrebbe in tutti i sensi, e a buon ragione, definirla una “primadonna”!



Per un ritorno a un’idea di femminilità prorompente bisogna attendere l'opera dei grandi cantieri scultorei burgundi del XII secolo, incentivati dall'ordine cluniacensi. Nel mezzo di un rinnovamento delle arti dominato in scultura da simbologie cristiane di Giudizi Universali strabordanti di peccati, redenzioni e bestiari mostruosi, nel cantiere della St. Madeleine di Autun spicca l’opera di un grande maestro: “Gislebertus hoc fecit”: una firma autografa nella pietra, sulla lunetta del portale occidentale della cattedrale. L’Eva di Gislebertus (1130, Musée Rolin, Autun), proveniente dal demolito portale del Peccato Originale, è considerata uno dei vertici assoluti nella raffigurazione del nudo nella scultura romanica. L’antica dea, caduta dai cieli, ha però ritrovato la sua dignità corporea, per quanto mortale. Ed eccola allungare il suo profilo sinuoso all'interno di un giardino paradisiaco; con una mano coglie il frutto proibito, con l'altra sostiene la testa, che volge pensosa dalla parte opposta. Non sembra cosciente del proprio peccato, né delle infauste conseguenze…ma distratta da pensieri lontani. Lo scalpello indulge nel ritrarre la bellezza conturbante del suo corpo, la morbidezza del modellato, il fremito vitale che percorre fa palpitare l'epidermide. In ricordo delle dee Madri, il suo andamento sinuoso ricorda volutamente quello del serpente, depositario di una conoscenza pagana che l’ha indotta al presunto peccato. La raffinata trattazione della superficie si carica di valori pittorici nella descrizione della capigliatura, percorsa da sottili incisioni parallele, e degli alberi da cui pendono fiori e frutti carnosi. All'interno di questa coerente costruzione spaziale ci crea un gioco di ritmiche e lineari corrispondenze, dove il sinuoso profilo di Eva intesse trame preziose con i fusti ondulati degli alberi.


Con il basso medioevo ci troviamo di fronte all'amore cortese: un concetto che appare per la prima volta nel corso del XII secolo nella poesia dei lirici provenzali in lingua d'oc. L'amor cortese del trovatore, sentimento capace di nobilitare e affinare l'uomo, nasce come un'esperienza ambivalente fondata sulla compresenza di desiderio erotico e tensione spirituale. Per questa ragione esso non può realizzarsi dentro il matrimonio: più che amore esso è un desiderio fisico che porta all’adulterio. A conferma del fatto che si trattò soltanto di un pur piacevole trend letterario creato da letterati e “furbi cantori”, l’amor cortese in concreto non giovò alla condizione delle donne. Peraltro, a parte le eccezionali manifestazioni scollacciate contenute nelle miniature profane, le dame scolpite del tempo sono quasi tutte vestite: al massimo, la sensualità è incarnata dai giochi di sguardi impressi sui loro bei volti. Per questo, protagonista della pubblica nudità resta ancora Eva: nell'arte gotica la rappresentazione del nudo fa il suo apprendistato in ambiente tedesco (XIII sec). Le prime figure a grandezza naturale, raffiguranti Adamo ed Eva, si trovano nel duomo di Bamberga (1235), che ancora ci appaiono come un paio di colonne rigide e ieratiche: poco per volta, il nudo gotico guadagnerà in naturalezza e accuratezza anatomica, riaprendo il suo repertorio a tutte le altre aree di evoluzione dell'arte.




Nella tentazione di Adamo ed Eva (Notre Dame di Parigi, 1220-30) in un miscuglio di statue, risalta il trumeau con scene di Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden: la creazione da una costola di Adamo, la cacciata dal Paradiso Terrestre, e al centro la tentazione di Adamo, dove al posto del serpente ritroviamo Lilith! L’antica dea, assente nel racconto biblico, è stata ripescata dal Talmud: gli antichi ebrei la consideravano prima moglie di Adamo, ripudiata per aver rifiutato di obbedire al marito e perciò diventata, non si sa come, un demone notturno. Evidentemente, la fiera ribellione al vecchio patriarca non la ripagò.


Nuovi sviluppi si hanno con l’Eva di Lorenzo Maitani (Duomo di Orvieto. XIV sec.). L’esecuzione della facciata della cattedrale umbra, agli inizi del Trecento, fu implementata da un’inedita serie di nudi che sembrano dimostrare un particolare interesse dell'artista al soggetto, riletto in chiave classica. La sua "Eva che sorge dal fianco di Adamo" strizza l’occhio agli antichi sarcofagi ritraenti le nereidi, mostrando per la prima volta dopo secoli di oblio, un certo idealismo del corpo: casomai meritevole d'attenzione, e non di condanna, proprio in quanto ricettacolo dell'anima.
Tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, i canoni della bellezza femminile cambiarono radicalmente. Tralasciando l’esplosione artistica di vere donne in pittura (con Raffaello, Giorgione, Tiziano e tutti gli altri) e restando di proposito nell’ambito della scultura, il grande precursore è senz’altro Jacopo della Quercia: lo scultore del celebre monumento tombale della bellissima Ilaria del Carretto. Non bisogna però scordare la più importante fontana pubblica della città di Siena: eseguita da Jacopo e collocata in Piazza del Campo, essa fu accolta con esultanza dalla cittadinanza con l’inaugurazione del 1346, tanto che dalla gioia spontanea procurata dallo sgorgare dell'acqua nella piazza pubblica ne derivò l'appellativo di "Gaia".
Tornata idealizzata, la donna si fece eroina...



Pur nel rispetto di tematiche ancora indissolubilmente legate all’etica e alla religione cristiana, tra i rilievi appaiono statue a tutto tondo di nude sensuali nella coppia Rea Silvia e Acca Larenzia (1346): le due fondatrici mitologiche di Siena antica ben rappresentano il rovello artistico del geniale scultore, in cerca di novità. Acca Larenzia, in particolare, è in piedi col seno scoperto e un panno retto dalla mano destra che la copre dalla vita in giù. In braccio regge uno dei suoi gemelli, che le sfiora il seno, mentre l'altro, ai suoi piedi, tende le braccia verso la madre. Il nudo, tenero e pieno, è di una resa estremamente naturale. Il complesso avvitamento di linee a spirale dona un effetto dinamico raffinato, evidenziato dalla testa ricurva che bilancia l'ancheggiamento tipicamente gotico; lo spettatore è inviato a una pluralità di vedute aventi la madre come perno. Tramite un personalissimo ripensamento dei modi della scultura gotica, senza rinunciare ai suadenti ritmi della coeva scultura borgognona e attraverso il filtro di una ritrovata classicità, Jacopo giunse alla creazione di figure femminili di sensuale vitalità, tali da renderlo il precursore di Michelangelo.
"Graecia capta ferum victorem fecit", disse Orazio, ossia la Grecia conquistata (dai romani) conquistò il selvaggio vincitore: fu così che l'ideale della bellezza classica sopravvisse nei secoli, fino ad oggi. Così come L’ouroboros, il serpente della mitologia greca che si morde la coda rinnovando la natura ciclica delle cose, la storia dell’Arte si rigenera. Il magico cerchio si chiude: almeno, per ora.




Marco Corrias (alias Marc Pevèn)

AA.VV – La Storia dell’Arte, Le antiche civiltà, 2006
AA.VV – La Storia dell’Arte, Il mondo classico, 2006
AA.VV – La Storia dell’Arte, L’alto medioevo, 2006
AA.VV – La Storia dell’Arte, il Romanico, 2006
AA.VV – La grande storia dell’Arte, Il medioevo, 2003
A. Giuliano, Storia dell’arte greca, 1989
J. Boardman, L’arte classica, 1995
P. De Vecchi, E. Cerchiari, I tempi dell'arte, 1999
J. H. Hill, Masterpieces of the British Museum, 2009

M. Jimbutas, Il linguaggio della dea, 1989

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