domenica 24 luglio 2016

Tra le volte verdastre di valle Christi, un sussurro spettrale...


Per raccontare di questo favoloso convento è necessario fare un salto indietro nel tempo, fino a raggiungere il lontano XII secolo.  A quell’epoca, in un clima di costante discordia dovuto alle continue lotte tra fazioni avverse, Genova non trovava pace. Fu proprio nell’atmosfera pesante della litigiosa “Superba”, che venne assassinato il nobiluomo e console Angelo de Mari, lasciando nella più addolorata solitudine la moglie Attilia Malfante.
Furono la disperazione e la voglia di trovare un angolo di serenità dopo tante lacrime, che condussero la dama genovese a prendere la decisione di farsi monaca e, qualche anno dopo, di far costruire il convento. Un’altra nobile concittadina di Attilia, una certa Tibia (forse la stessa sorella della vedova) si unì a lei nella realizzazione dei suoi progetti: saranno infatti le due donne a ordinare la costruzione di quel luogo di preghiera tanto desiderato, che sorgerà nei loro terreni nella campagna retrostante Rapallo.
Il nuovo convento fu destinato ad accogliere al suo interno monache di clausura cistercensi.
L'Ordine Cistercense sorse nel 1098 a Citeaux (Borgogna, Francia) come movimento riformatore in risposta al rilassamento del rigore morale e religioso dei ricchissimi Cluniacensi (ramo riformato dell'ordine benedettino) che si ispirava alla stretta attuazione  della Regola di San Benedetto.

Conferma del fatto che ad abitare per prime il convento fossero state monache dell’ordine cistercense è anche la dedicazione del complesso in onore di Santa Maria in Valle Christi, che richiama i cenobi benedettini di Chiaravalle, Vallechiara, Valleverde e Altavalle, nacque come filiazione dell’allora famosa abbazia del Tiglieto.
L’iniziativa delle due dame genovesi fu ampiamente assecondata dall’arcivescovo di Genova prima che il nuovo complesso monastico fosse posto sotto la giurisdizione della Santa Sede.
Le monache occuparono “Valle Christi” per quasi trecento anni: tra di esse presenziò anche un nome illustre come quello di Carinzia Visconti, nipote di papa Gregorio X. Nonostante si fossero guadagnate nel tempo fama di operosità e santità, a poco a poco, il numero delle monache iniziò ad essere sempre più esiguo: il convento andò inspiegabilmente a spopolarsi sempre più finché, nel 1573, Gregorio XIII lo fece chiudere in via definitiva: le difficoltà causate dall’isolamento, dalla insalubrità del luogo e i decreti emanati dal Concilio di Trento nella metà del XVI secolo, che decretarono la necessità dei conventi ad essere più vicini ai centri abitati, avevano giocato un ruolo determinante nel fallimento di Valle Christi. I preziosi beni custoditi al suo interno furono inventariati e venduti: la sacra reliquia del capo di S Biagio e una tela del Fiasella, pittore caravaggesco d’origine genovese, furono consegnate alla Collegiata di Rapallo. Infine, lo stesso convento e le sue terre vennero venduti. 



Furono queste le vere cause del declino di Valle Christi? O forse esistette una ragione più oscura, quasi occultata dagli abitanti di Rapallo e delle valli limitrofe?
Varie testimonianze dimostrano che, fino a metà ‘800, le condizioni di conservazione del monastero erano miracolosamente ottimali, quasi come se la gente non avesse più osato avvicinarsi…furono l'incuria delle autorità e degli abitanti ad aggravarne il disfacimento. Le mura del convento, sgretolandosi, come troppo spesso accade, fornirono materiale per la costruzione di case coloniche, mentre gli edifici attornianti la chiesa ed il chiostro divennero il focolare ed il ricovero per le famiglie dedite al lavoro dei campi.
Nel 1903, “Valle Christi”, purtroppo ormai ridotta a poco più di un rudere, fu dichiarata monumento nazionale italiano. Ebbero così inizio i primi concreti restauri dell’immobile, ad opera di Alfredo d’Andrade: noto architetto, archeologo ed esperto restauratore, conosciuto soprattutto per i ritocchi, se non proprio per i drastici rifacimenti “in stile”,  che apportò a numerosi castelli piemontesi.


Eppure un’aura di mistero ancora permane sulla valle disabitata: non a caso, e agli amanti del mistero interesserà saperlo, intorno al convento, probabilmente a causa della sua posizione isolata e poco esposta alla rassicurante luce del sole, forse lo stato di totale abbandono, generò una lugubre leggenda. Si narra che in tempi molto antichi una monaca, follemente innamorata di un pastore, avesse trasgredito alla regola di castità restando incinta e per punizione fosse stata murata viva con la sua bambina appena nata in una cella del convento. Molti asseriscono ancora oggi, che nelle notti senza luna, un lamento struggente sale dalle antiche pietre e si diffonde nella campagna.
Ciò è davvero possibile?  Effettivamente, talvolta si può udire un “lamento”, ma solo quando il clima è asciutto e ventoso: Forse gli spifferi, infiltrandosi negli interstizi del rudere, ne fanno da cassa di risonanza, invadendo la valle. Si tratterebbe quindi di un artificio, lo stesso suono che si produce soffiando in un tubo, ad aver dato adito alla leggenda del fantasma della suora. Eppure questa leggenda col tempo ha raccolto proseliti: ancora nota quando lo scrivente era poco più che adolescente e vi faceva visite notturne in cerca di risposte e suggestioni, negli ultimi anni la meta è stata rispolverata dalla nota equipe di Mistero, in cerca della fatidica parete murata dietro una fantomatica croce scolpita. Quella croce, collocata sulla parete posteriore dell’abside destra, indica invero una sepoltura; lo spessore della parete non è comunque adeguato a murarvi una persona e tra i ruderi del Monastero vi sono molte altre tombe.  


Un’altra leggenda popolare diffusa e forse legata agli assalti dei saraceni è quella che voleva il Monastero di Santa Maria in Valle Christi anticamente affacciato sul mare. A testimoniarlo, alcuni anelli infissi nella parete posteriore della chiesa, oggi non più presenti: ma questo avrebbe presunto l’inesistenza del borgo medioevale di Rapallo, invece posto tra il mare e la valle, per cui anche questo mito dev'essere sfatato. Sebbene la Valle costituisse parte di un’area palustre da bonificare, è più probabile che a quegli anelli si legassero cavalli, non barche.
Dal punto di vista artistico, ancora oggi è possibile riconoscere nelle rovine medievali del monastero di Valle Christi l’impronta “cistercense”: si tratta del celebre stilema architettonico e organizzativo di provenienza francese, che dopo essere stato inaugurato dal potente abate-teologo Bernardo di Clairvaux (Chiaravalle) attraverso un sistema capillare di abbazie sparse in tutta l’Europa del XII secolo, si diffuse anche in Italia, con ben ottantotto filiazioni dell’originaria casamadre borgognona. Veniva così precocemente introdotta nella nostra penisola una versione moderata dello stile gotico, nata dalla mediazione e commistione con la perdurante e ben radicata tradizione romanica.
Tutte le abbazie di regola benedettino-cistercense prevedevano l’applicazione di uno schema ricorrente: l’organizzazione razionale degli spazi conventuali (chiesa, sala capitolare, refettorio, dormitorio e magazzino-dispensa), disposti attorno a un chiostro, testimoniato anche a “Valle Christi” dai resti delle mura perimetrali, a cingere lo spazio occupato da un pozzo. Le persistenze più appariscenti della struttura originaria sono l’abside maggiore, piatta e di forma quadrangolare, come la regola “bernardina” esigeva, scandita da due aperture e da un oculo, e il campanile romanico.


Suggestive volte gotiche a sesto acuto, rese ancora più aguzze dalla mancanza dell’originaria copertura lignea, svettano sulla zona presbiteriale, dove era posto l’altare. Il rudere di “Valle Christi” esibisce la sua sobria e grandiosa armonia per mezzo della sola nuda pietra: la severa regola cistercense proibiva infatti ogni vanità decorativa che si riteneva potesse distrarre le monache dalla preghiera.
Le maestranze locali, forse ispirate dalle tecniche dei lapicidi francesi, hanno potuto trarre compiacimento esclusivamente dalla bellezza architettonica delle volte ogivali, dalla perizia nell’uso di materiali semplici e dai riflessi dell’illuminazione naturale, sinonimo di luce divina, ricavata dalle aperture absidali.
L’abside stessa e le due cappelle laterali del transetto mostrano l’originaria pianta a croce latina, e i resti murari, che vanno scalando verso il prato, tracciano quella che doveva essere la peculiare pianta ad unica navata. La torre campanaria, posta in coincidenza del transetto destro, esibisce archetti pensili di tradizione romanica, con monofore e trifore che all’ultimo piano sono già gotiche, ed è coronata da un suggestivo tetto cuspidato.
Diversamente dalle altre chiese genovesi, che fanno uso di ogive e cornici di archetti soprattutto a scopo decorativo, le vestigia secolari di “Valle Christi” interpretano in modo più autentico la nuova concezione strutturale, prevedendo equilibri di spinte, contro spinte e calcoli statici, a testimonianza di una delle più autentiche innovazioni gotiche in Liguria: la rarità di tali schemi ha qui reso il monumento un caso unico.

Immersa nella vegetazione boschiva che oggi la isola dalla moderna vita turistica del centro di Rapallo, affascinante per il suo aspetto romantico e per le oscure leggende che custodisce tra i muschi e nel silenzio, “Valle Christi” vive una seconda vita, ospitando sul suo prato rappresentazioni teatrali e altre iniziative culturali di grande richiamo, soprattutto nella stagione estiva. Eppure la stagione di eventi inaugurata da qualche anno, pur mettendo in luce un meraviglioso luogo, peraltro dotato d’ottima acustica, con i suoi visitatori e gli orribili seggiolini blu ha quasi profanato la primitiva bellezza del "rudere": come se il mistero, tutto d’un tratto, si fosse stancato di restare tra noi. 
Ma quando in autunno le notti si faranno più fredde e i turisti, tornati alle loro dimore, avranno scordato da tempo gli inutili svaghi mondani, forse quel lieve sussurro che si innalza lieve per poi tendere a inasprirsi con la tramontana fischierà ancora, tra le trifore cupe e la finestrella all’ultimo piano del cupo rudere di Valle Christi.   


Marc Pevèn (alias Marco Corrìas)

Bibliografia:

P. Berri. Rapallo nei secoli. 1979
G. Barni. Storia di Rapallo e della gente del Tigullio, 1983
M. Ricchetti, Liguria sconosciuta, 1983
N. Pazzini, R. Paglieri. Chiese in Liguria, 1990

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