Un’estesa pittura murale si
mostra in tutta la sua terribile grandiosità sulla parete meridionale esterna
di un enigmatico santuario lacustre, sorto “in mezzo alle terre”.
Al centro dell’affresco, la figura emaciata del Salvatore, dal corpo scheletrico e i tendini in forte e sconcertante risalto, si protende con posa innaturale dall’altezza di un trono bizzarro: un tabernacolo a traforo gotico, adorno di bifore e cuspidi, che pare la trasposizione onirica di una guglia del duomo di Milano.
Al centro dell’affresco, la figura emaciata del Salvatore, dal corpo scheletrico e i tendini in forte e sconcertante risalto, si protende con posa innaturale dall’altezza di un trono bizzarro: un tabernacolo a traforo gotico, adorno di bifore e cuspidi, che pare la trasposizione onirica di una guglia del duomo di Milano.
I piedi titanici del Creatore,
ritornato alla Fine del Mondo quasi come un distruttore, poggiano su un
basamento semicircolare; la sua figura, severa e soprannaturale, è quella del
temibile Giudice. La cuspide sopra la sua testa divina, coronata e nimbata allo
stesso tempo, è risolta da un paio di statuine: una per lato. I due simulacri
sono stati modellati a immagine e somiglianza di Adamo ed Eva, a ricordo
dell’indelebile Peccato Originale. Ancora più in alto spicca il particolare
inedito e apocalittico-astrologico del Sole, della Luna e dei Quattro Elementi
personificati nelle figure profetiche di statue panneggiate.
Tutt’attorno
al trono è un folle
agitarsi di cherubini in volo: venti figurette fanno da ghirlanda,
stringendo gli strumenti della Passione: la croce, i chiodi, la corona
di spine, la lancia che trafisse Gesù, la scala, il flagello...
Le schiere ricciolute, dai visi armoniosi e androgini, danzando flessuose dialogano con vivacità sull’etereo fondale ceruleo. I loro tratti cesellati non sono opera di veri e propri frescanti di mestiere, bensì di artisti virtuosi, perlopiù avvezzi a miniare preziosi codici scritti: ecco perché, oltre alle fisionomie e ai caratteri individuali degli angeli è acutamente indagato anche il loro abbigliamento fastoso: il "décolleté" delle vesti e le maniche alla moda sono solo un piccolo assaggio dell’eleganza raffinata diffusasi alla corte dei potenti Visconti nella Milano di fine ‘300.
Le schiere ricciolute, dai visi armoniosi e androgini, danzando flessuose dialogano con vivacità sull’etereo fondale ceruleo. I loro tratti cesellati non sono opera di veri e propri frescanti di mestiere, bensì di artisti virtuosi, perlopiù avvezzi a miniare preziosi codici scritti: ecco perché, oltre alle fisionomie e ai caratteri individuali degli angeli è acutamente indagato anche il loro abbigliamento fastoso: il "décolleté" delle vesti e le maniche alla moda sono solo un piccolo assaggio dell’eleganza raffinata diffusasi alla corte dei potenti Visconti nella Milano di fine ‘300.
Dalla dimensione iperuranica, astratta, a quella terrena.
Al suolo, ai lati del trono si
stringono le schiere dei supplici. La Resurrezione dei Morti, alla nostra
sinistra, mostra impietosamente una piccola schiera di peccatori prostrati ai
piedi del trono: chierici concubinari e corrotti, assassini e sovrani marchiati
d’infamia. Corona sul capo, un re striscia a terra con un pugno teso verso la
volta cerulea; a fianco, un alto dignitario cerca inutilmente l’aiuto di un frate francescano che, a
differenza di lui, si staglia in
tutta la sua altezza. Quest’ultimo, in tonaca marrone, con la cintura o “cingulum” stretta sui fianchi e la
tonsura che lo ha insignito degli ordini sacri, ostenta un’arrogante posa
plastica che lo contrappone a un ostilissimo arcangelo incalzante, armato
di spada. Lo sguardo del frate, puntato contro un secondo angelo che piomba dal
cielo, è pieno di superbia; il suo braccio destro si leva sulla difensiva, il
sinistro si abbassa indicando un peccatore sfinito: un uomo comune.
Quest’ultimo, macerato dal senso di colpa, col capo celato da un berretto, dà
di spalle alla scena: forse è proprio lui, l’assassino.
Atteggiamento ambiguo, quello del
frate francescano: il suo è un gesto d’intercessione, o di accusa verso il
peggiore dei peccatori? Personalmente,
lo interpreterei più come un tentativo
di distogliere l’attenzione del furioso arcangelo da se stesso e dalla donna
che si cela alle sue spalle: quest’ultima, inutilmente intenta a coprirsi i
seni con un panno trasparente: il
soggolo e il velo la identificano nei panni, scollacciati, di una monaca, forse
certosina. Come in una scena boccaccesca, i due sono stati scoperti in flagrante fornicazione: di fronte a un Giudice che dal suo trono
appuntito tutto vede, i voti di obbedienza, castità e povertà dei frati
Francescani, manifestati dai tre nodi del “cingulum”,
sono stati spudoratamente violati. Nel frattempo un altro peccatore, come
schiantato da una forza superiore, ruzzola ai piedi del trono.
Fra mitrie vescovili, sfarzose
tuniche e boccoli, alle spalle dell’arcangelo una processione di potenti
inginocchiati attende il suo turno. Ed ecco sfilare le anime delle più alte
gerarchie ecclesiastiche e laiche dell’epoca, teatro di vizi dell’umanità:
l’usura, l’impudicizia, l’accidia e l’adulterio, oppressi dalla gestualità
concitata dei castigatori in volo. Le loro vesti ricordano da vicino quelle del
gruppo altrettanto nobile dei Giusti, prostrati a destra e chiusi in preghiera.
Tra questi Beati metterei in risalto il trattamento speciale e disturbante
riservato a un’infedele dal volto scuro, tenuta al guinzaglio da un demone
svolazzante: poiché in vita non volle seguire il verbo di Cristo, ora la
visione del Giudice in trono per lei è diventata, sempre se vorrà salvarsi, una
costrizione violenta.
Sull’estrema destra dell'affresco campeggia un’altra tipologia di peccatori: al
romantico suono del liuto di un musicista dal gozzo rigonfio, una coppia di
nobili amanti si è data un rendez-vous clandestino in un “Liebesgarten”: il giardino d’amore è un topos ricorrente
nell’iconografia a vasto raggio dello stile “gotico internazionale.”
L’idillio però, anche qui è
minacciato dalla prefigurazione di un castigo imminente. A lato, un demone
stronca il loro amore profano con un battito delle sue ali di pipistrello: è un
potere insondabile che lo scrivente sarebbe portato a interpretare come una
contagiosa folata epidemica. La forza drammatica della scena è resa
particolarmente intensa dalla chiarezza del racconto, che con fine didascalico
pone, accanto ai vari personaggi, cartigli con scritte esplicative. La scena
intera colpisce per il senso drammatico, degno di una rappresentazione
teatrale, che calcando la mano, anzi il pennello, rimarca l’ineluttabilità
della giustizia divina e della miseria finale, anche per i potenti e i tiranni. "Benvenuti nella «sfera tumultuosa del manierismo gotico!"
Per l’esattezza, dove ci troviamo? A Campione, enclave italiana in
territorio elvetico.
Borgo da sempre “diviso” tra Como e Milano e attualmente assai prossimo
all’orbita varesina, per tutto il Medioevo Campione rivestì un ruolo di rilievo
nella storia dell'arte lombarda e non solo: le pregevoli opere di artisti
campionesi, soprattutto scultori e lapicidi e architetti si diffusero lungo
la penisola italiana per tutto il XIV secolo.
E’ un caso unico che si protrae
dal lontano 777 d.C., quello del “burgus”
situato sulla sponda orientale del Lago di Lugano. Allora, quando il feudatario
longobardo Totone, con atto testamentario, decise di donare parte delle sue
terre al potente monastero milanese di sant'Ambrogio, Campione era un luogo
pressoché ignoto, sito alla periferia del tardo regno longobardo.
Già allora, a una certa distanza
dall’abitato, sorse un primo nucleo chiamato "Santa Maria in
Willari". Pur non esercitando mai un vero e proprio ruolo di parrocchia, dopo il 1000 il luogo di culto fu adibito,
quale luogo di passaggio, a “xenodochio”: ostello per viaggiatori, gestito da
monaci cistercensi. La funzione assistenziale d'accoglienza di mercanti e
pellegrini era tipica dei cenobi di frontiera situati lungo la via per le Alpi.
Solo con l'incameramento di nuove entrate, l'esecuzione di svariate opere a
fresco di particolare pregio pittorico iniziò a configurare il santuario
campionese come centro di rilievo nell’area prealpina.
Da
allora molto è cambiato.
L'attuale nome del Santuario, “Santa Maria dei Ghirli”, forse dovuto al
termine
dialettale con il quale si usava chiamare i rondoni che in estate qui
nidificavano, sembra quasi attendere noi, nuovi pellegrini: affacciato
sul lago,
proprio all'ingresso della cittadina, in effetti il santuario funge
quasi da
potente elisir ristoratore, a sanare lo scempio moderno introdotto dal
mostruoso casinò di Mario Botta. L’aspetto architettonico del tempio è
il risultato di
continue trasformazioni, stratificatesi nel corso dei secoli: il
rimaneggiamento d'intere parti (campanile, tiburio) col particolare
prospetto
scenografico barocco a tre ordini di rampe protese verso il lago, dona
al
complesso un fascino tutto particolare che ricorda da vicino gli approdi
alle
ville lacustri del Settecento lombardo. L'aggiunta dei portici laterali
accresce la monumentalità della costruzione.
Ma torniamo al nostro affresco.
Un cartiglio, scoperto in
extremis nel 1912 dal celebre Toesca, reca una frase latina. Così io ve la
traduco: “Quest’opera, realizzata nel 23
giugno del 1400 con le elemosine offerte alla chiesa dai membri della scuola di
Campione, fu dipinta da Lanfranco de Veris da Milano e da suo Figlio
Filippolo.”
De Veris è la probabile storpiatura latina di Verri, tipico cognome
lombardo. Padre e figlio erano parte integrante dell'entourage di pittori e
miniatori prestigiosi alle dipendenze del duca Gian Galeazzo Visconti
(1374-1402): il signore di Milano aveva da poco inaugurato un ambizioso
programma politico, teso a unificare il Nord Italia e a inglobare il Centro in
un potentato signorile assai simile a una monarchia, che vedeva cantieri
artistici aperti nel Duomo di Milano, a Monza, a Cremona, alla Certosa di Pavia
e nel suo castello. L'artista di corte più prestigioso, Giovannino de' Grassi,
aveva da poco miniato un famoso libro di preghiere, detto
"Offiziolo", con immagini cortesi di grande eleganza: tornei, dame,
animali nostrani ed esotici, ritratti con accuratezza naturalistica e preziosità
decorativa. Michelino da Besozzo, co-protagonista, ottenne uno stile molto più
aggraziato e di grande successo, giocato su tinte tenui, personaggi attoniti e
leggerissimi.
Il ciclo pittorico di Campione,
pur pienamente partecipe della complessa cultura figurativa di gusto gotico
internazionale sviluppatasi attorno al cantiere ambrosiano, rivela tuttavia una
vena espressiva meno aulica e cortese: la pennellata incisiva del maestro e
dell’allievo, rapida nei tratti e nei gesti dei personaggi, manifesta un
interesse tutto particolare per le notazioni realistiche, al limite della
caricatura. Lanfranco e Filippolo Verri, coppia di pittori altrimenti ignoti,
costituì una piccola impresa a gestione famigliare di artisti sfuggevoli, i cui
caratteri gotici si arricchirono di una peculiarità regionale del tutto
particolare.
La critica ha da sempre osservato la stranezza di questi affreschi, dal
fascino ambivalente e quasi trasgressivo, dotati di un goticismo smodato, di
“aspetto bizzarro”, “stravagante unicità”, “frenetica agitazione”, “stregata
follia” e “spirito perverso”.
La potente allegoria della lotta tra il Bene e Male inscenata dai due artisti ostenta
sicurezza e abilità pittorica. Di fronte al tripudio drammatico e violentemente
espressivo del ciclo campionese le caratteristiche principali dello stile
stesso, ossia le delicatezze del gusto ereditato dagli artisti del Duomo
vengono travalicate. Lo stile innovativo di Lanfranco e Filippolo fungerà da
connessione con gli sviluppi della pittura successiva, riscontrata in cantiere
nei primi decenni del '400. A maggior ragione, Il grande Giudizio Universale
della coppia De Veris, denso di spunti tratti dal mondo cortese, con aneddoti
grotteschi tipici del tempo, rappresenta una delle testimonianze più importanti
del gotico internazionale in Lombardia.
Ed è così che, sul registro
inferiore, si srotola una scena di gusto dantesco, con demoni e dannati
sottoposti a varie torture. Qui, dove il ciclo purtroppo presenta un forte
impoverimento della pellicola pittorica, su un simbolico fondo rossiccio che
rievoca le fiamme dell’Inferno è rappresentato un campionario realistico di
peccati: nella descrizione delle torture dei dannati, il pennello si sofferma
con curiosità e spirito d’osservazione sulle deformazioni fisiche e
caricaturali: ed ecco scorrere veloce la tortura della ruota, le angherie dei
demoni, una madre che uccide suo figlio, Giuda suicida appeso all’albero e un
ladro in fuga con il bottino sulle spalle, incurante di aver perso le proprie
vesti proprio a causa dell’avidità. L’accentuato realismo passa in rassegna
perfino una serie di utensili, a caratterizzare l'attività professionale di
ogni peccatore: si riconoscono significativamente l'alambicco dell'alchimista,
i dadi del giocatore d’azzardo, la cazzuola del muratore e le forbici del
sarto...
La bizzarria del ciclo non si limita allo stile: anche l’iconografia è
estremamente anomala, a dir poco azzardata. E’ assai interessante osservare
come i de Veris, attraverso il medium pittorico, all’alba del ‘400 si facessero
carico di una rischiosa missione: quella mettere a nudo una corruzione morale,
apparentemente sopita ma a quanto pare più dilagante che mai, tanto in ambito
laico quanto ecclesiastico. Infatti, pur
trattandosi di un Giudizio Universale, soggetto di larghissima diffusione,
l'affresco presenta uno schema iconografico commisto con le macabre
rappresentazioni dei Trionfi della Morte: feroci denunce anticlericali, in
polemica con le ricchezze terrene.
Gli estremismi di paura e angoscia si alimentano ulteriormente, in
considerazione della collocazione all’esterno della chiesa: quasi un manifesto
di “memento mori”: ricordati che,
ricco o povero, chierico e laico, devi morire. Se consideriamo il momento storico e il luogo, il Ducato di Milano,
apparentemente immune a fermenti di qualsivoglia tipo religioso, questo fatto
risulta del tutto particolare.
Veniamo a scoprire un ulteriore
colpo di scena: a differenza di tutte le altre iconografie tipiche italiane,
tipiche dei Giudizi Universali inaugurati dalla controfacciata della cappella
degli Scrovegni di Giotto a Padova in poi, in santa Maria dei Ghirli non
troviamo rappresentati, nell’infinito universo raccolto intorno al grande
Cristo Giudice, manca qualcosa di fondamentale.
Ai lati del Giudice vi è sì l’umanità, in attesa di responso, ma
mancano le abituali figure della Vergine, del Battista e di tutti gli altri
santi: tra la figura del Giudice e quelle dei penitenti non esistono
intermediari!
La mancata d’intercessione del
Giudizio Universale di Campione costituisce un unicum.
In questo contesto, il forte
realismo e gli infiniti particolari descrittivi paiono allora palesarsi come
espressione di una convinzione, se non addirittura di un credo portato a
condannare l’umanità intera considerandola peccatrice in toto, destinata alla
perdizione eterna: senza intermediari,
la speranza di salvezza diventa un miraggio luterano ante-litteram. Solo
ora, le due figurine di Adamo ed Eva, rivelano il vero senso del ciclo: basandosi
sul rapporto con il Peccato Originale, nel Giudizio Finale di Campione non vi sarà pietà per nessuno!
Timori apocalittici: aspirazioni
al misticismo e alla spiritualità, affondano le proprie radici in luoghi
invisibili e criptici della spiritualità: chi può aver commissionato una simile
opera? Nel cartiglio ormai semicancellato si accenna a una “scuola”:
un’aggregazione non ben definita, tanto meno dichiarata, di accoliti riuniti
con finalità di mutua assistenza.
Misteriosi “scholares”…fecero
erigere un gran teatro mistico e apocalittico sulle rive del Lago di Lugano:
tutto ciò, in un epoca senza eresie e calamità? Perché?
Lo scopriremo nel prossimo
articolo.
Marco Corrias (alias Marc Pevèn)
BIBLIOGRAFIA:
Algeri, G. Pittura in Lombardia nel primo Quattrocento, in La Pittura in Italia, Milano 1987
Bandera, S. Il Tardogotico, in Pittura
a Como e nel Canton Ticino, Milano, 1994
Bianconi. P. La pittura medievale nel Canton Ticino, Milano 1939
Gregori, M. A proposito dei De Veris, in Paragone,
VIII, Milano, 1957
Matalon, S., Mazzini, F. Affreschi del Tre e del Quattrocento in
Lombardia, Milano 1958
Rutz, V. Segre. Intorno agli affreschi di Lanfranco e
Filippolo de Veris a Campione, 1988
Toesca, P. Il Trecento, Torino 1951
Toesca, P. La pittura e la miniatura nella Lombardia, Torino 1966
è coinvolgente, uno stile personalissimo...certi giorni riesco a leggere!!! Il Piedone mi affascina sempre. E bravo Marc!
RispondiEliminaElena
Complimenti Marc Pevén, ogni articolo è una sorpresa! Ma...perché definisci questo affresco "eretico"?
RispondiEliminaMarina
accidenti allora mi è sfuggito qualcosa! !! Devo chiudermi sola da qualche parte e studiarmelo meglio!
RispondiEliminaMarina
������letture e quiz!!! Sei forte Marc!!! Ci tieni in sospeso
RispondiEliminaMarina
Lo fa apposta,cosi dobbiamo seguirlo ;)
RispondiEliminaStefania
Ahuahuahu! ;)
EliminaDavvero singolare....sembrerebbe davvero,data la molteplicità di elementi simbolici e l'incompatibilita'con gli insegnamenti cattolici della Tradizione,che questo affresco sia stato "voluto"proprio per lasciare a chi poteva comprenderlo un chiaro segnale.. accenni a una "scuola"..potrebbe trattarsi di una costola di qualche
RispondiEliminaScuola misterica, di matrice gnostica.
Eli
Non solo una minuziosa analisi di un affresco unico, una breve presentazione di Campione e di una famiglia lombarda.
RispondiEliminaInterressantissimo.
In quanto alla punizione divina, ti dirò.
La generazione dei miei nonni, ha trasmesso ai giovani nipoti ortodossi, una versione della credenza diversa di quella cattolica.
Diciamo, in parole povere, che per noi Dio è più uno che punisce i peccati commessi, piuttosto che una sovranità che realizza i nostri desideri.
Grazie Marc Pevén
Violeta Artemisia
Mi piace questo giudizio universale!!!! Tolleranza zero xd
RispondiEliminaAzzurra
Hai superato te stesso. Direi che il distacco dai viaggiatori è stato provvidenziale. Come già ti pronosticai. Le idee sono originali. Lo sviluppo accattivante. Con qualche piccola limatura...che ti verrà spero nel tempo. In sostanza dovresti scrivere x qualche rivista. O, in alternativa, per la rubrica culturale di qualche quotidiano di tiratura nazionale.
RispondiEliminaMarina
Questi affreschi erano denunce delle nefandezze dei potenti.in un certo senso una specie di fumettone per chi non sapeva leggere? Che dici è così?
RispondiEliminaStefania
Stefania non solo, anche una denuncia verso chi leggere sapeva farlo ;) e a scanso di equivoci, a fianco delle rappresentazioni vi erano anche i cartigli a caratteri gotici che spiegavano il tutto...ora in parte deperiti
EliminaIl posto è incantevole, affascinante. Mi piace molto come descrivi tutti i dettagli dell'affresco. Ho letto e guardato... hai fatto un lavoro magnifico che ha permesso ad una profana come me di notare cose altrimenti invisibili. Mi colpisce la differenza fra il Salvatore e i Cherubini. Sono curiosa di leggere il seguito! Bravissimo. ... Rosella
RispondiEliminaIl Salvatore é austero e livido e castigatore...i cherubini son messi lì per inscenare una bellezza paradisiaca cortese😉 Già nella second parte si tenterà di capire chi come e perché!:p
EliminaMi veniva voglia di stampare le foto e di leggere con il dito sopra la foto per seguire i particolari! Rosella
EliminaGià hai visto bene quando si seguono i dettagli, i significati reconditi di un affresco, sul quale altrimenti non ci soffermiamo guardandolo nella sua interezza e perdendoci tante di quelle notazioni di vita e colore...ma chi lo avrà voluto questo ciclo strano, e perché? Anomalia!😉
EliminaMarc ci accompagna sempre per mano, all'interno di chiese affascinanti, e la sua capacità descrittiva è talmente vivida e brillante che pare di trovarci insieme a lui davanti all'affresco e riusciamo ad immaginarlo nel suo splendore di luce e colore anche senza l'ausilio delle sempre belle fotografie che correlano i suoi articoli! Bravo! Carola
RispondiEliminaGrazie Carola, lo scopo era proprio quello di dar vita ai personaggi!:D Attraverso una scena ricorrente poi, come quella del Giudizio Universale, traspaiono tante informazioni tra le righe come quelle sul vestiario, il pensiero e la società del tempo.
Eliminaletto d'un fiato. Molto, molto interessante! Bravo!
RispondiEliminaLuisa
Grazie Luisa seguici e seguimi sempre mi raccomando ;P
EliminaHai evidenziato anatomie umane del tutto drammatiche. Inquietante. Terribilis est locus iste.
RispondiEliminaUn saluto
Malles
Geniale come sempre caro Malles! Tra una settimana la 2a parte!
EliminaAttendo la seconda parte curiosissima di capire fin dove ci vuoi potare.La descrizione ci porta direttamente in quel tempo,riconoscendo vizi e peccati di cui l'uomo non si sá liberare....e mi vuen da pensare...forse il francescano con la mano alzata vuole fermare l'angelo,indicando pii l'uomo accovacciato con l'altra mano,cime a dire"il suo é peccsto piú grave del mio!"
RispondiElimina�� Bsrbara
Già Barbara, hai riassunto in un attimo ciò che intendevo esprimere! E' proprio così! Sarebbe carino aggiungerlo, posso? :P
EliminaAnche stavolta Marc ci hai affascinato...lettura scorrevole e intrigante! Decrizioni dettagliate dei dipinti che parevano prender vita con movenze delicate e sinuose... personalmente, avendo avuto la fortuna di girare per monumenti a Milano con te come guida, leggendo questo articolo ho avuto la sensazione di essere lì, tra Alpi e località lacustri, rese ancora più spettacolari e sottilmente mistiche dalle tue descrizioni e fotografie. Complimenti! Ora aspettiamo il seguito.......��. Glory
RispondiEliminaGrazie "Glory" che nel complimento...sì, la bellezza dell'arte in un contesto degno di essa, per una buona volta...ora devo riuscire a trovare il tempo x la 2a parte...sarà dura!
Eliminarticolo molto intrigante, Marco, cacciatore di misteri nelle terre di confine ! Guarda caso, nei luoghi di frontiera si esprime sempre qualche pensiero originale, come in questo Giudizio dalle forme ancora eleganti e cortesi del Gotico Internazionale scopri un guizzo nervoso ed un tormento del tutto estraneo al Gotico stesso e cerchi invano le rassicuranti figure che intercedono per noi peccatori...e caspita, non ci sono proprio ! Siamo spacciati ! Non sarà mica un Luteranesimo ante litteram ? o forse più semplicemente una dimostrazione che un certo pensiero serpeggiava sul confine già molto prima dell'affissione delle 95 Tesi di Wittenberg...cioè...non c'è la Madre di Dio ad intercedere per noi, accuse per niente velate ai frati francescani ed alle monache certosine etc. etc.....Wow, i Verri ed i loro misteriosi committenti erano molto "avanti", e liberi.
RispondiEliminaInvogli davvero a scoprirne di più nell'annunciata seconda parte.
Altra cosa che ho molto apprezzato, oltre al consueto ricco patrimonio linguistico, l'andamento "cinematografico": sei partito dall'affresco per poi ampliare lo sguardo sull'edificio e sul paesaggio, come la macchina da presa di sposterebbe da un dettaglio per aprirsi in panoramica. La tua scrittura è sempre entusiasmante.
Laura
Laura anticipi troppo ciò che é contenuto nel prossimo articolo ahah😉 Ebbene, ti sei accorta perfino dell'effetto zoom...😉 Complimenti
EliminaAllora andrò a cercare conferme nella seconda parte. L'effetto zoom era evidente, i complimenti vanno piuttosto a te che usi tanti stratagemmi per dare "movimento" alla scrittura.
EliminaLaura
La domanda finale è intrigante.Che cominci a circolare la cultura della Riforma?
RispondiEliminaGiuseppe
Giuseppe...può darsi eheh! Lo saprai alla prossima puntata ahah! ;)
EliminaSempre al top
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