martedì 25 luglio 2017

"Pietro Buono": un pittore napoletano alla corte sforzesca?




La sagrestia della chiesa ambrosiana di Santa Maria Segreta, ignota ai più, custodisce un capolavoro del tutto inatteso: una pala d’altare di scuola aragonese. L’opera, capolavoro del suo genere, raffigura l’Incoronazione della Vergine, celebrata con tono elevato e aulico da Dio Padre e Cristo in persona, entrambi rivestiti di sfarzosi paramenti di broccato e oro; ai lati, la composizione è circoscritta dalle monumentali figure di San Gerolamo e San Giovanni Battista. Sul gruppo pittorico incombe la colomba dello Spirito Santo, attorniata da una corona di cherubini musicanti.


 

Gli stessi motivi ricorrono anche in maestri più noti come Colantonio del Fiore, che appartenne alla generazione precedente e che, tra le altre cose, fu anche il maestro di Antonello da Messina. Non a caso, l'esempio dei due pittori citati convive con la luminosità avvolgente del francese Jean Fouquet e con il senso plastico e monumentale della grande scultura gotica francese. Lo studio analitico, sottilissimo nei particolari delle vesti, si staglia su un fondo aureo con fluenti e flessuose pieghe spezzate.

L’Incoronazione è stata attribuita a Pietro Befulco detto “Pietro Buono”: un artista di origine salernitana ma residente a Napoli, dove la sua attività fu documentata tra il 1471 e il 1506. L’opera potrebbe collegarsi a un documento del 5 ottobre 1492; a quella data il priore della chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, lo spagnolo fra’ Martino Frexinal, aveva offerto 50 ducati d’argento al pittore, per una pala d’altare raffigurante l’Incoronazione della Vergine e, nella predella, la Flagellazione di Cristo e l’Andata al Calvario: queste due tavolette, oggi smembrate, sono ancora miracolosamente conservate al Museo della Certosa di San Martino a Napoli, mentre la tavola principale parrebbe essere proprio quella misteriosamente finita in S. Maria Segreta...
L’opera milanese si colloca nel momento stilistico più felice di questo pittore misterioso (per alcuni critici Pietro Befulco e Pietro Buono non sarebbero nemmeno la stessa personalità…) quando Alfonso II d’Aragona stava riqualificando dal punto di vista artistico la capitale del suo regno.



                                                                                Milano, S. Maria Segreta


Sul finire del secolo, infatti, il nuovo re stava perseguendo, proprio come Ludovico il  Moro, una politica di prestigiose committenze artistiche, sebbene sulla scia di gusti in parte diversi: quelli della pittura di gusto catalano-fiammingo. 

Nonostante la vivacità culturale della corte aragonese, accompagnata dalla presenza di importanti umanisti e letterati, i numerosi influssi fiamminghi e iberici che s’incrociarono a Napoli non riuscirono a sintetizzarsi del tutto in un linguaggio stilistico originario e unitario, come invece andava accadendo a Milano in quegli stessi anni, per via dei gusti ancora “feudali” del re straniero: riflesso di una sostanziale indifferenza verso le nuove istanze della pittura rinascimentale italiana. La chiamata a corte di artisti forestieri di provenienza disparata, come il maiorchino Guillermo Sagrera, il dalmata Francesco Laurana e il lombardo Domenico Gagini per il rinnovamento del Maschio Angioino, a tal proposito, parla chiaro.

                                                                                     Ippolita Maria Sforza 

Indagando tra le pagine della storia veniamo comunque a scoprire che re Alfonso II di Napoli era alleato degli Sforza di Milano: già nel settembre 1465, quando era ancora duca di Calabria, Alfonso sposò con una cerimonia fastosa Ippolita Maria Sforza, figlia di Francesco Sforza. Più tardi, nel 1479, un giovane Ludovico Sforza duca di Bari, non ancora detto “il Moro”, non si creò problemi a persuadere il sovrano aragonese sulla possibilità di dargli una mano per ottenere il controllo di Milano ai danni del fratello Galeazzo Maria, in cambio di un matrimonio spregiudicato tra suo nipote Giangaleazzo e la figlia Isabella d’Aragona: episodio interessante, quanto poco noto. Lo stesso Alfonso, con quel matrimonio, covava torbidi sogni di conquista del ducato Sforzesco...

L'invasione d’Italia da parte del dinasta francese Carlo VIII, scatenata, per uno scherzo del fato, proprio dalla politica spregiudicata del Moro, mise fine ai sogni di gloria di Alfonso II nel 1495.


                                                                   Alfonso II di Napoli

A quale motivo va imputata la presenza di una pala del Rinascimento napoletano alla corte Sforzesca? Forse al mecenatismo dei due dinasti, o a uno scambio di artisti, tanto di moda alla fine del Quattrocento? Pietro Befulco detto “Buono” era un maestro ben inserito nel gusto catalano della corte partenopea, tanto da giustificare l’ipotesi di un viaggio di studio in Spagna; forse, chissà, anche a Milano, presso la corte Sforzesca?


Visto lo smembramento dell’opera, sarebbe più credibile pensare che la tavola principale sia stata acquistata, se non addirittura rubata nel corso del XIX secolo su commissione di qualche intenditore d’arte, e rocambolescamente finita a Milano? O forse, più semplicemente, si tratta di un deposito esterno della Pinacoteca di Brera, pressoché obliato nel corso degli anni?


Castello Sforzesco


Ai tempi scrissi che "il grande interesse per l’opera e la sua eccentrica collocazione avrebbero potuto alimentare nuovi studi e magari chissà, una tesi di laurea"...aggiunsi anche che chiunque un giorno avesse desiderato approfondire il mistero di Pietro Buono attraverso gli archivi ambrosiani e napoletani era caldamente pregato di comunicarci le sue nuove scoperte.

Manco a saperne: tocca ancora a me, attraverso restauratori dell'accademia braidense scoperti all'opera in loco, svelare questo mistero dopo anni e anni: correva il 2013 dal giorno della mia segnalazione: da allora nessuno se ne interessò più. Quest'oggi sono tornato in loco, ho parlato con il don e ho assistito ai restauri in corso di un'opera che, evidentemente, ignorata dalla "Milano da bere", non era poi così ignota agli studiosi del campo...e cosa scopriamo? Troviamo un'equipe in piena attività di restauro sull'opera: la pala non é stata scordata! Scopriamo anche che la pala avrebbe fatto parte della dote della nuova "sposa - giocattolo" voluta dalla crudele macchina dei matrimoni combinati e per procura del tempo, voluti dalle dinastie regnanti: unire Sforza e Aragona, nord e sud, comportava obiettivi così ambiziosi che nessuna delle parti poté realizzare per davvero. La pala apparteneva alla giovane pruncipessa  Isabella d'Aragona, figlia di Alfonso di Calabria e di Ippolita Maria Sforza, ricevuta alla corte sforzesca più che altro per via di un debito che Ludovico il Moro aveva contratto a inizi carriera.


                                             Vesti aragonesi: Pietro Buono a Milano, S. Maria Segreta 

Le fonti infatti testimoniano come Ludovico il Moro dovette ripagare il sovrano di Napoli di numerose prove di fedeltà ricevute, come il giovanile titolo di duca di Bari, senza il quale egli non sarebbe stato nessuno e che in seguito gli permise per vie trasversali la scalata al potere nella lontana Lombardia. Lo scotto da pagare fu un matrimonio combinato tra due giovinetti: il nipote del Moro, il bellissimo e biondo crinito ma freddo Giangaleazzo e la calorosa e sensibile e olivastra Isabella d'Aragona, che prima del fatidico incontro mai si era stancata di ammirare e baciare l'immagine del fanciullo lombardo...inizio di un idillio fiabesco, come tutti aspetteremmo? Macché!

Dopo tante cortesie affettate la giovine, dai modi squisiti ma troppo sofisticati per i gusti spartani della corte sforzesca, divenne presto oggetto della crudeltà di corte stessa.


                                Pietro Buono  conservato presso Laino Castello in prov. di Cosenza.

"Gli stomachi dei melanesi abituati a sostanziosi mangiari settentrionali, non gradiscono le "raffinatezze napoletane, a base di dolci e di spezie e troppo leggere per i loro gusti" riferì un cortigiano crudele.
Ed ecco le prime angherie psicologiche, poi tramutatesi in vere e proprie privazioni, che dovette patire Isabella, che dopo aver attraversato tutto il Tirreno per nave subendo il mal di mare, aveva sognato ad occhi aperti: per contratto, ma anche per amore oltrepassó il ruvido appennino e sperimentò il gelo sferzante della valle Scrivia, prima di acquartierarsi a Tortona (Per i tempi un clima del genere era mortalmente foriero di polmonite).


L'aspro paesaggio appenninico della valle Scrivia

La fortuna non fu mai amica di Isabella; nemmeno tra le coperte. Il giovane Giangaleazzo, pur bello ed elegante, non riuscì mai a soddisfare la giovane aragonese: non perché ella fosse meno attraente rispetto alle dame bionde e opulente della corte sforzesca, bensì per un problema intrinseco...

"Il duca è di natura debole e reclinata, come una serpe sorpresa dal gelo". La notizia fece il giro in un baleno. "Ma perché farne un dramma?" disse lo stesso Ludovico il Moro, sorridendo ironicamente. Il giovane duca poteva essere stato paralizzato dalla timidezza o dall'inesperienza!  In fin dei conti poteva capitare a tutti, "durante una partita di caccia, di fallire il primo colpo di balestra"...


                          Dame lombarde, polittico di Treviglio (Bergamo, B. B. Zenale e Butinone)


Il giovane erede aveva diciannove anni e del resto, con tutta una vita davanti a sé, si sarebbe potuto rifare di quel piccolo infortunio...oppure no? 

In tale contesto, il polittico di Pietro Buono si svelerebbe quindi come uno dei dei numerosi doni preziosi portati da Isabella aragonese fin da Napoli...e tutto il resto? Come andò a finire?


Per saperlo vi invito a seguire Medioevo Monumentale, Wunderkammer e il loro amministratore, Corrias, che intende organizzare una triade di visite guidate tra Pavia longobarda, Viscontea e Milano sforzesca: ne vedremo delle belle!



                                 Le bombarde del Castello Sforzesco (Como, museo Giovio) 

Foto e testo: Marco Corrias

(P.s: S.Maria Segreta non é più la stessa chiesa edificata nel Settecento da Giulio Galliori presso l'omonima via del centro città, ossia tra il Cordusio e l’inizio di Via Meravigli: questa fu demolita per fare spazio alla Milano dei grandi palazzi pubblici di fine Ottocento. L'attuale e omonima chiesa é infatti una ricostruzione novecentesca, rielaborata ex novo presso via Mascheroni con il reimpiego della facciata smembrata del San Giovanni alle Case Rotte presso Piazza Scala: unico resto di un edificio progettato da Francesco Maria Richini nel primo quarto del '600).

13 commenti:

  1. Letto! Molto interessante. Sai che ho immaginato (e poi leggendo fino in fondo ne ho avuto conferma) che avrebbe potuto essere arrivato al seguito della sposa napoletana? Comunque sei proprio bravo! :)
    Luisa

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    1. Grazie Luisa preferisco di gran lunga i tuoi complimenti ai rimproveri ahah😁 Essere gratificato da un'esigente avvocatessa ha sempre il suo perché!😂😉 Io dopo anni sono arrivato solo ieri, comunque, a questa soluzione 😉

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  2. Thomas Villa
    Beh tra i primi Sforza e gli Aragona napoletani ci sono stati indubbiamente forti relazioni ed accordi, magari anche scambi artistici, soprattutto prima dell'arrivo dei Toscani che hanno poi rivoluzionato lo stile e hanno poi dominato i primi anni del Cinquecento. Non per nulla il Moro vantava il titolo di Duca di Bari. Anzi forse Milano è stata forse la chiave tra i Leonardeschi e i napoletani, vedi ad esempio la splendida Madonna Lia di Francesco Napoletano (appunto) e la dedica (forse) al duca di Bari del ritratto di Luca Pacioli, amicone del toscano di Vinci, oggi a Capodimonte e ritenuto opera di Iacopo De Barbari (attribuzione palesemente erronea, vista che qualitativamente l'opera è degna di un Leonardesco...). Comunque si, ci sono stati notevoli contatti e scambi in quegli anni tra Milano e Napoli.

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    1. Grazie Thomas, proprio così! Un altro periodo di contatto tra Milano e Napoli, per quanto abbastanza forzato, si avrà sotto il dominio spagnolo

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  3. Fabbretti Maria Clementina
    ...non sapevo!..Grande Marco!! Grazie grazie��

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  4. Maria Clementina un tempo nemmeno io...pensa, scoprii l'opera su un unico libro e poi più nulla...allora inizia a informarmi, andare sul posto...l'opera non c'era: era in sacrestia. Poi venne tutto il resto 😉

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  5. Michael Shano
    È sempre un piacere vedere l'evoluzione contemporanea di uno senso più integrata della storia d'arte italiana che riconosce anche il ruolo del mezzogiorno. Il cambiamento di orizzonte più ampia della ricerca e promettente di nuove rivelazioni. Grazie Marco Corrìas

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    1. Grazie a te Michael ;) Sono particolarmente affascinato anche dal rapporto artistico che ebbero tra loro nord e sud d'Italia sotto la dominazione spagnola, in particolare nel primo quarantennio del '600: molto diversi ma con affinità spirituali profonde in comune

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    2. Michael Shano
      Si. Linguaggi diversi ma una sostanza culturale condivisa. L'aristocrazia napoletana spesso mandavano i figlie nelle corte spagnoli per l'educarli'. al ritorno erano 'committenti" generosi ma con gusti sfumati. Un amico mio era stupito dai cherubini (putti?) dipinti a Padula che sorridono, che e cosi diverso dall'Escorial severa e senza no senso di umore. Non so come sono i cherubini al nord italia. :-)

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  6. Valentino Carroccia
    La bellezza dell'arte sta nel fascino della storia, anche se spesso la storia si presenta amara.

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  7. Aldo Caliò
    E anche oggi abbiamo imparato qualcosa

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    1. Aldo hai letto bene di questo capolavoro della tua terra celato in sacrestia e delle trame matrimoniali tra regnanti? É un "documento parlante" oltre che un capolavoro!

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    2. Aldo Caliò
      Mi fa piacere che si attivano per la salvaguardia di queste opere non famose ma comunque interessanti e di certo non inferiori a quelle più blasonate. In Italia pare che se un'opera non è di un autore noto non se ne interessa nessuno spesso...

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