mercoledì 10 agosto 2016

Sant'Imerio di Bosto - Quando il mito si fa sacro


Cosma e Damiano, santi gemelli - Monastero serbo di Djurdjevi Stupovi (XIII sec.)

La castellanza di Bosto, un tempo villaggio e oggi elegante frazione residenziale inglobata nell'hinterland collinare di Varese, cela il paradigmatico mistero  di un personaggio della tradizione locale il cui ricordo si é quasi smarrito nella notte dei tempi.
La figura in esame é quella di Imerio, santo minore che, in associazione al più noto Gemolo, suo compagno di martirio, gode da secoli il privilegio di un culto locale. La sacra coppia, invero, incarna l'esempio di come una credenza cristiana possa scaturire da tradizioni preesistenti. A tal proposito sorge lecita una domanda: chi fu sant'Imerio?
Gli indizi di partenza si ritrovano nella “Passio Sancti Hyemuli”: documento agiografico relativo al martirio di Gemolo, trascritto nel monastero di Ganna (Va) verso la fine del XII secolo. Vi si narra di un anonimo vescovo transalpino che, di passaggio in Italia del nord lungo la strada per Roma, fu aggredito in un'imboscata da una banda di ladri  che gli sottrassero il cavallo. Di fronte al fatto compiuto, suo nipote Gemolo e Imerio, “miles socius itineris”, ossia compagno di viaggio e guardia del corpo, furono incaricati di mettersi sulle tracce dei predoni al fine di recuperare il maltolto. Quando li ebbero scovati, di fronte alla richiesta garbata di restituire il cavallo e nel nome di Dio, di risparmiarli, seguì  la decapitazione di Gemolo. Imerio invece, pur in fin di vita, esalò l'ultimo respiro solo dopo essere fuggito dal luogo del delitto.


Badia di San Gemolo a Ganna (Va) XII- XV secc.

Se Gemolo fu sepolto nella vicina Badia di Ganna, luogo di culto precedentemente già dedicato al culto longobardo di San Michele arcangelo, dove la tradizione agiografica sostiene l'immediato susseguirsi di prodigi, ritrovare le spoglie del suo compagno richiese uno sforzo maggiore. La “Passio” a malapena menziona l'episodio  della traslazione della sua salma in un ignoto sarcofago. Col passare del tempo la tradizione iniziò a identificare, pur senza prove certe, il luogo di morte del "soldato chiamato Imerio" nella Castellanza di Bosto, dove la  consuetudine accenna a una chiesa appositamente eretta per commemorarlo...


Varese - S. Imerio di Bosto (XI sec.)

Falso. Chiariamo da subito: anche a Bosto esisteva una chiesa longobarda, pure essa adibita al culto di san Michele. Solo un documento giuridico assai tardo, datato 1417 e comprovante l'impegno da parte di Pétrolo, giurista del luogo, di lasciare in dono al capitolo di San Vittore una vigna ed altri beni in località in cambio di un'orazione funebre per l'anima sua e dei parenti defunti, in tal senso, costituisce un documento prezioso circa il successivo culto del soldato moribondo: tutto ciò avveniva ogni anno, alla vigilia della processione dedicata a “Imerio santo e martire”. Il piccolo oratorio campestre, tutt'ora esistente, risale alla metà dell'XI secolo: datazione indotta dalla superstite parete sud, contraddistinta da muratura romanica costituita da grossi ciottoli di fiume, talvolta disposti a spina di pesce, pietre non squadrate e da tre monofore a doppio strombo. Questi caratteri rivelano affinità con altre chiese edificate nell'area, nei decenni di poco successivi al 1000.
Nel XIV secolo, l'aggiunta di un transetto quadrato voltato a crociera (poi a botte, in età barocca) portò alla trasformazione del piccolo luogo di culto e al conseguente ampliamento in lunghezza. Attorno alla seconda metà del secolo seguente, anche l'abside  fu completamente plasmata in stile gotico e decorata con un affresco di buona qualità: una scena di crocifissione con Maria, san Giovanni e la Maddalena ai piedi della croce e ai lati San Michele e un profeta, inquadrata sul fondo  come un'ancona.


Varese - S. Imerio di Bosto (XI sec.)

Nel giro di poche decadi l'affresco, non più rispondente al gusto del tempo, fu occultato dietro a un polittico rinascimentale di particolare valore, eseguito dal varesino Francesco De’ Tatti (attualmente esposto ai musei del castello Sforzesco di Milano), sulla cui predella é immortalata la figura di Imerio: con tanto di saio e bastone e il pugnale, strumento del martirio, confitto nel petto, il soldato di un tempo era stato tramutato a sua insaputa in pellegrino!
Nel 1572 nuovi lavori eseguiti su richiesta di san Carlo Borromeo, l'allora arcivescovo di Milano, portarono alla scoperta casuale  di un sarcofago di pietra, sepolto da tempo immemore al centro della navata: esso costituiva la prima vera testimonianza concreta di quella fantomatica traslazione menzionata di sfuggita nella “Passio Sancti Hyemuli”!
Ciò nonostante, il prezioso reliquiario litico fu nuovamente interrato. Per svelare parte dell'enigma si dovette attendere il 1928: data della definitiva riesumazione del cosiddetto "sarcofago di Imerio", così soprannominato dalla tripudiante comunità di Bosto. 


Varese - S. Imerio di Bosto (XI sec.) Affresco tardogotico

Dopo aver constatato che le ossa rinvenute nel sarcofago appartenevano a cinque esseri umani, accurate analisi antropologiche identificarono solo in uno di essi, un soggetto robusto, di  sesso maschile, dai caratteri cranici “nettamente alpini”, il solo che “ivi avesse originaria sepoltura”. L'anno successivo le presunte ossa del martire furono ricomposte in una cassetta di legno e trasportate nella nicchia presso l'altare barocco della “Madonna del Pilastrello”, il cui nome indica un miliario romano e con esso, la presenza un'antica strada romana cancellata dai secoli. Premessa la necessità di contestualizzare storicamente un ambito di confine come quello delle Prealpi lombarde, ancora in posizione di continuo compromesso con un sostrato di pratiche paganeggianti per nulla sopite, a questo punto si inserisce l'interpretazione su Imerio e Gemolo ad opera dello scrivente.


In primis, la vicenda narrata pare scaturire da un comunissimo episodio di cronaca medievale: un’imboscata. Nel XII secolo,  proprio al tempo in cui i monaci redassero il testo, molti pellegrini in viaggio attraverso le valli varesine erano caduti negli agguati tesi da bande capeggiate da tagliagole come il “Rosso da Uboldo”: il malfattore a cui le fonti attribuiscono diversi crimini, piuttosto che un'immagine scaturita dal passato, pare più un personaggio della cronaca del tempo. Forse che, a secoli di distanza dal duplice martirio, le penne d'oca del monastero di Ganna avessero deciso di svecchiare una tradizione obliata, per garantirle nuovo lustro?


In secondo luogo, é davvero difficile credere che la scorta armata di un vescovo possa essere  stata sgominata da una banda di ladri, senza alcuna difficoltà. D'altra parte, anche la richiesta pacata del giovane Gemolo di restituire il maltolto, lungi dall'essere una genuina testimonianza della tradizione orale, suona più come un blando sermone stereotipato prodotto della più prolissa tradizione agiografica di provincia.


Badia di San Gemolo a Ganna (Va) XII- XV secc. Adorazione delle reiquie di Gemolo

Se consideriamo pure che i presunti pellegrini, in verità, erano membri di un’ambasciata “ad limina apostolorum”, pratica invalsa al fine di rinnovare la fedeltà delle Chiese locali alla S. Sede, la struttura portante dell'intreccio narrativo viene definitivamente a mancare. D’altra parte, gli studi inaugurati negli anni '60 del XX secolo da don Francesco Galli con viaggi in Francia e Germania, volti a gettare nuova luce sull'origine dei “pellegrini della Passio”, non portarono ad alcun risultato. Le figure di Gemolo e Imerio, quasi intangibili, tendono da sempre a mischiarsi, quasi a confondersi: talvolta i due furono scambiati per fratelli e perfino gemelli, quando non addirittura  ritenuti incarnazione dei due differenti volti della stessa persona!

Riconsideriamo i luoghi sacri in cui i santi furono sepolti: entrambi dedicati a San Michele arcangelo, indicano una chiara preesistenza longobarda, probabilmente di culto ariano. D'altra parte, fin dai tempi più remoti sia Varese sia Ganna costituivano parte integrante di quell'antica "gastaldaga", o circoscrizione territoriale, storicamente alle dipendenze della potente Castelseprio: quelle stesse terre di confine che, pochi sanno, sul finire del VI secolo d.C costituirono aspro teatro di scontro tra Longobardi e Franchi: 

E' Gregorio di Tours, vescovo e insigne cronachista d'età barbarica, a lasciarci poche e preziose testimonianze nella sua "Historia Francorum" a proposito dell'esercito franco del duca Ollone, "checimprudentemente s'era avanzato fino a Bellinzona, piazzaforte posta nella regione dei Campi Canini . colpito al petto da un giavellotto cadde e morì. (...). I longobardi fecero irruzione a gruppi sparsi sopra di loro in luoghi diversi. C'era infatti, all'interno del territorio della città di Milano, un lago che chiamano Ceresio, dal quale esce un fiume piccolo ma molto profondo. E i Franchi avevano saputo che i Longobardi erano accampati sulle sponde di quel lago. Quando i Franchi arrivarono sul posto, prima che potessero attraversare il fiume suddetto un longobardo, protetto dalla corazza e dall'elmo, dall'altra sponda bilanciò in mano l'asta e gridò ad alta voce contro l'esercito franco: "oggi si vedrà a chi la Divinità ha prescritto di conseguire la vittoria!". Si può bene capire che, con questo gesto, i Longobardi avevano preparato un segnale. Intanto pochi Franchi, guadato il fiume, vennero a combattimento con questo longobardo e lo sopraffecero. Ed ecco: tutto l'esercito dei Longobardi, volto alla fuga, scappò. Allora anche gli altri Franchi attraversarono il fiume: non trovano più nessuno, riconoscono soltanto le tracce degli accampamenti, dove i Longobardi ebbero i fuochi e avevano piantato le tende. Così, senza aver catturato neppure uno di loro, i Franchi tornarono ai loro attendamenti. E là giunsero alcuni ambasciatori dell'imperatore ad annunciare che sarebbe arrivagto in loro rinforzo un esercito: "Quando vedrete alcuni incendi bruciare le case di quel villaggio posto sulla montagna, e il fumo dell'incendio salire fino al cielo, allora capirete che noi arriveremo con l'esercito che abbiamo promesso". Ma dopo aver atteso secondo l'accordo sei giorni, mon videro arrivare alcun esercito...

Per quasi tre mesi i Frachi girarono l'Italia senza ottenere nulla, nè riuscire a vendicarsi dei nemici, ben difesi in luoghi sicurissimi come Castelseprio, nè riuscirono a catturare il re che si era asserragliato tra le mura di Pavia finché l'esercito, ormai prostrato, decise di tornare alle proprie regioni. Così tornando, erano talmente incalzati dalla fame che arrivarono a privarsi delle armi e dei vestiti per procurarsi cibo prima d'essere rientrati al paese d'origine. 

Analizziamo i nomi dei due santi: essi, in verità, non sono di origine basso medievale, ma d’età paleocristiana. Imerio deriva dal greco ῾Ιμέριος ossia “Himerios”, latinizzato in “Himerius”, di significato incerto ma forse derivante da etnonimo legato all'antica città siciliana di Himera: i santi  del primissimo medioevo provenivano pressoché tutti dalle terre di dominazione bizantina (vd. Sant'Imerio di Amelia, La Spezia). Il nome Gemolo, invece, che deriva dal latino “hiemalis” ossia "invernale" alluderebbe all'acqua del fonte paleocristiano e bizantino, ossia quella battesimale: non per nulla, nel luogo in cui il giovane martire fu ucciso si palesarono miracoli legati alle acque rosse di sangue del torrente Margorabbia (colore dovuto, in realtà, alla presenza in zona di cave di porfido rosa), che vanno a confluire proprio nel laghetto di san Gemolo.


Valganna. Le acque insanguinate dal martirio di Gemolo

Per cui, si potrebbe ipotizzare che le notizie estrapolate dalla tardiva “Passio” parrebbero piuttosto riflettere un'epoca lontana per la quale le ipotesi oscillano tra il IV e il VI secolo.
Una fondamentale fonte d'ispirazione utile a comprendere il fenomeno ci é fornita da miti e leggende legate al culto dei gemelli, diffuse in diverse culture e caratterizzate da svariati elementi in comune. Nella maggior parte delle mitologie si ritrovano dei e semidei gemelli, dotati di poteri speciali. Presso le civiltà più antiche, molti miti traggono la loro origine dal salvataggio dell'astro solare da parte di gemelli celesti: già gli “Acvin”, cocchieri fratelli della mitologia persiana, imcarnavano il Cielo e la Terra, il Giorno e la Notte, la Stella del Mattino e quella della Sera. In Lombardia, tracce di una leggenda celtica narrano che Medelhan o Medhelanon, l'antica Milano, fosse stata difesa con le armi da due gemelli che per il loro valore furono resi immortali e tramutati in fiumi: l'Olona e il Lambro. Anche in Grecia i noti Castore e Polluce, eroici gemelli del mito greco detti Dioscuri, soccorritori d'uomini in difficoltà e della sorella Elena, personificazione solare, svelano un pantheon pagano prefigurante la personalità di molti santi cristiani.
Fu così che il cristianesimo, attraverso una grande pianificazione teologica e dottrinale, convertì le antiche divinità guerriere astrali in atleti di Dio.


Musée du Louvre - Castore e Polluce (copie romane da orig. greco)


Tra tutti i santi ispiratori, un ruolo di primo piano spetterebbe ai celebri gemelli Cosma e Damiano: medici della Cilicia, martirizzati nel IV secolo, non a caso mediante decapitazione, durante la persecuzione di Diocleziano e ampiamente venerati anche nelle terre dei laghi lombardi.
Il culto dei gemelli taumaturghi si sviluppò dapprima in Medio Oriente, presso città-santuario già dedicate al culto del dio guaritore Asclepio. Proprio come il suddetto nume della medicina vaticinó «se c'è da soccorrere un povero o uno straniero darete cure gratuitamente, perché dove c'è l'amore degli uomini c'è l'amore dell'arte» anche i due medici “anargiri”, dal greco “senza denaro”, praticavano la professione senza chiedere compensi


Milano, iconostasi ortodossa in S. Maria a Podone: suggestioni del passato paleocristiano 

Preservata la memoria dei riti precristiani di “incubazione”,  originariamente  presieduti da divinità taumaturgiche come Asclepio, Iside e da Castore e Polluce, presso la basilica dedicata a Cosma e Damiano di Costantinopoli accorrevano centinaia di malati a passare la notte: durante il sonno i santi gemelli sarebbero venuti a curarli.
La fama dei due fratelli, divenuti ben presto patroni dei medici e invocati come risanatori di ogni male, presto si irradiò  in Occidente: nel VI secolo erano così popolari che diversi templi di Roma antica furono tramutati in santuari in loro onore.
In parallelo, la Milano ambrosiana preserva una tradizione ugualmente antica (IV sec.): quella relativa ai santi Gervasio e Protasio. Perduti i genitori, i due gemelli vendettero i beni di famiglia per distribuirne il ricavato ai poveri e si ritirarono in una capanna dove passarono dieci anni in preghiera e meditazione. Denunciati sotto Diocleziano come cristiani dopo aver, rifiutato di sacrificare agli dei, i due furono condannati a morte, rispettivamente tramite flagellazione e ancora una volta, decapitazione.

Varese, S. Imerio di Bosto - Rappresentazione e resti del santo in un reliquario moderno


L'effetto-coppia inevitabilmente tendeva ad accentuare un'individualizzazione caratteriale, sia per i santi cristiani, sia per gli eroi pagani che apparivano in coppie. Spesso un gemello è un uomo di pensiero, l'altro d'azione; uno è costruttore, l'altro cacciatore. Castore fu pugile, Polluce domatore di cavalli; Gemolo un oratore, Imerio un soldato. Le rozze figure scolpite sul sarcofago di Bosto, raffiguranti il primo santo provvisto di tonsura, bastone crucifero e il secondo d'elmo e lancia  confermerebbero definitivamente l'ipotesi qui proposta.


Varese, S. Imerio di Bosto - Sarcofago con immagini di Imerio e Gemolo

Testo e foto: Marco Corrias (alias Marc Pevèn)

AA.VV, La Chiesa di Sant’Imerio. Bosto, Varese, 2014
A. Borrelli, Sant' Imerio di Bosto Pellegrino e martire, 2002.
S. Chierici, Italia Romanica, La Lombardia, 1978.
B. Comolli, San Gemolo nella tradizione millenaria, 1966.
A. Finocchi, Architettura romanica nel territorio di Varese, Milano1966.
M. Frecchiami, Il culto di S. Imerio a Bosto, 1994.
M. T. Mazzilli, Architetture medievali e strade. Itinerari nella Lombardia occidentale, 2009.


25 commenti:

  1. Veramente interessante! non conoscevo questo santo pur essendo una grande amante dell'agiografia...ma quello che mi attira di più è il richiamo alle origini e il rapporto con la mitologia classica...wonderful! Paola

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    1. Paola é un santo davvero poco noto...idem per Gemolo, é conosciuto solo tra Varese e Valganna (si trova poco più in alto, dove c'è la fabbrica della birra Splügen-Poretti ahah): come avrai visto, però, la loro storia si ripete puntualmente in altri tempi e luoghi ed é proprio ciò che mi intriga😉

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  2. Eheheh....Anche a me sono venuti in mente i santi Cosma e Damiano! Sono i patroni del mio paese=) Grazie, è stata una lettura molto molto piacevole e interessante!
    Azzurra

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    1. Azzurra tu che sei "autoctona" conoscevi la chiesetta? Non é nota, ma é molto carina.

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  3. Bellissima ricerca, ben supportata dalle varie fonti documentarie. Soprattutto piacevole da leggere come condotti in una indagine investigativa...Bravo Marc Pevén!!!
    Marina

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  4. Veramente è un piacere leggerti sei fonte inesauribile
    Betty

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  5. L arte un amore che non mi ha mai deluso e che malgrado l inesorabile avanzare degli anni conserva la freschezza la curiosità la bellezza ed è sempre appagante apprezzare i capolavori
    Betty

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  6. Mi associo ai commenti precedenti senza riserve...proprio interessante
    Paola M.

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  7. Paola P.
    Molto bello e dettagliato. Complimenti. Mi è piaciuta molto anche la parte relativa all'etimologia

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    1. Paola come sai l'etimologia spesso parla al posto di documenti mancanti ;) E' importantissima e affascinante!

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  8. un interessantissimo articolo, Marco. Grazie. Anche assai belle le architetture e gli inteni
    Lia

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    1. Ciao Lia grazie! Indipendentemente dalla zona geografica e i contenuti sono applicabili anche ad altri contesti italiani ed europei.

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  9. Molto interessante. Dove si trova la Madonna del Pilastrello? Lì passava una strada consolare romana?
    Luisa

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    1. Ciao Luisa so già che stai pensando a qualche cippo o miliario romano :) E' il nome di un altare barocco dipinto da un pittore ignoto ad imitazione del Morazzone, ma il motivo non lo conosco, non si specificava...ora però devo scoprirlo

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    2. Ciò che mi interessa è la intitolazione e la posizione. Monsignor Ambrogio Palestra, a suo tempo pubblicò un articolo, giungendo alla conclusione che laddove c'è il toponimo "pilastrello" (derivazione del miliario), lì passava una consolare romana.
      Luisa

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    3. Interessantissimo. Non mi ero soffermato ma avevo dei sospetti sai?

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  10. mai sentito nominare ... grazie
    Carmen Rita

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    1. Ciao allora meglio ;) Bosto è una frazione, anzi una castellanza di Varese di antichissime origini

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    2. si si conosco .... non conoscevo sant'Imerio

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    3. Pensa che da pochi anni vi producono perfino un olio d'oliva dedicato a lui...ma non posso garantire sulla qualità, mai provato ;)

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  11. Anche qui in Brianza è pieno di luoghi Sacri intestati a S.Cosma e Damiano ....come S.Gervasio e Protasio !! Grazie per le spiegazioni e le informazioni molto interessanti .

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