lunedì 1 agosto 2016

"Cerchi delle Fate": megalitismo tra Alpi e Verbano

Area archeologica di Montecrestese - I menhir di Croppole (Vb)

L’intera area collinare e montuosa che avvolge il bacino del lago Maggiore ha da sempre rivelato la presenza costante, sebbene in un certo senso sfuggente,  di tracce preistoriche  e protostoriche, anche notevoli, attribuibili a popolazioni legate da una comune radice etnica e culturale.
Scavi archeologici più o meno importanti, cerchi di pietre, massi incisi e coppellati (ossia scavati con fori circolari, forse riempiti con offerte liquide a base di latte, sangue, idromele o acqua) consacrati agli antichi dei pagani della natura costituiscono testimonianze remote, probabilmente lasciateci da civiltà genericamente ed enigmaticamente definite "celto-liguri".

Mappa delle tribù protoceltiche e celtiche in Italia centro-settentrionale

Piemonte, Lombardia e Canton Ticino: in queste terre d'ambito perilacustre spiccano il fenomeno  archeologico caratteristico del megalitismo e della “saxorum veneratio”, o magico culto delle pietre (dal greco mèga-grande e litos-pietra)

Sàss da Preja Buia (Sesto Calende, Va)

Chi desiderasse approfondire la storia dei Celti e di chi li precedette, prima o poi incorrerebbe sempre nel mito: mito da non interpretarsi come fiaba fine a se stessa, ma da rileggersi attentamente, al fine di scoprire tracce di verità nascoste tra le righe dell’immaginazione.
La mitologia irlandese cita spesso i Tuatha de Danann, tribù semi divina venuta dal nord del mondo conosciuto. Essi furono i primi ignoti colonizzatori; popoli dei megaliti e dei cerchi di pietre che al tramonto del loro tempo avrebbero trovato rifugio nei “sidh”: tumuli segnati da cerchi di pietre su antichi colli, che la tradizione agreste ha tramandato col nome gaelico di “cromlech”, o più semplicemente di “poggi delle fate”.

Tumulo megalitico di Bryn Celli Ddu (Galles, 3000 - 1800 a.C)

Col passare dei millenni il significato dei tumuli e dei cerchi di pietra fu obliato. Secondo le leggende medievali questi siti (fairy circles), insieme a quelli delineati in autunno dai funghi costituivano i luoghi per eccellenza dove le fate (in ambito gaelico e anglosassone) e le streghe (mediterraneo e alpino) danzavano nella notte durante i loro riti magici: luoghi da cui tenersi lontani, a rischio di incorrere in una maledizione, o perfino di essere catturati e rimanere prigionieri degli spiriti per l'eternità.
Anche i guerrieri di questi popoli dimenticati, sepolti sotto le colline, assunsero tratti soprannaturali, tali da essere qualificati come abitatori dell’oltre-mondo. Guardiani di tesori inestimabili e depositari di una dimensione onirica, gli spiriti degli antenati erano gli abitatori di un regno incontaminato dai mali dell’umanità e abitato da fanciulle che offrivano coppe colme di bevande magiche e altre primizie, per convincere i più meritevoli tra vivi a restarvi e accogliere il dono dell’immortalità. Essi sono i protagonisti di quello che il folklore irlandese chiama “piccolo popolo” e che fu reso sinistro e demoniaco dai predicatori cristiani.

Monumento equestre a Vercingetorige (Clermont-Ferrand)

Anche secondo Plinio il Vecchio, autore romano ma di sangue celtico (nacque a Como nel 23 d.C), tutto ciò accadde prima che gli uomini usassero violenza sul popolo della fate, rendendole per sempre invisibili. Da allora gli abitatori del bosco vivrebbero ancora relegati nel regno dell’ombra, un paradiso sotterraneo dove solo allo sguardo dell’iniziato è concesso scorgere qualcosa oltre la realtà percettibile.
Alimentato dalla rarità dei siti scampati alle distruzioni e al tempo, il mito che avvolge le origini del megalitismo indubbiamente si presta a generare misteri. Questi antenati vissuti tra l'età della Pietra e quella del Bronzo influenzarono l’immaginario dei primi popoli storici d’Europa, iniziandoli ai culti solari dell'oracolo Delfi e Stonehenge, e a livello locale, a quelli di Golasecca, della Spina Verde e di Montecrestese.

Tomba di guerriero da Sesto Calende (Varese, Museo Archeologico, VI sec a.C)

Tra il IX e il VII secolo a.C, in area prealpina si sviluppa una civiltà proto-celtica di transizione denominata “cultura di Golasecca”, in virtù del nome della prima importante località in cui furono scoperte ricche necropoli proto-celtiche, collocate in prossimità di Sesto Calende (Varese). In questa terra un tempo ricoperta di torbiere e aree paludose, il ritrovamenti di antichi corredi dell’aristocrazia guerriera come armi, armature e carri da battaglia ha portato alla scoperta degli usi e costumi di un popolo di lingua celtica dai tratti Halstattiani (dal nome dell’importante sito austriaco) stanziato in una terra a metà strada tra il mondo nordico e quello mediterraneo, le cui abitudini erano influenzate dalle tribù transalpine, dagli etruschi, dai liguri e dai paleoveneti. Le sepolture di questi popoli “celto-liguri” erano delimitate da cerchi o allineamenti di pietra definiti “cromlech”; la loro scrittura, che si avvaleva di caratteri etrusco-settentrionali, fu denominata con il neologismo di “leponzio” o “alfabeto di Lugano."

Stele di Prestino (Como, museo archeologico, V sec a.C)

L’addensarsi dei ritrovamenti relativi sia agli abitati, sia alle necropoli, ha consentito di accertare, a partire dall’VIII secolo, la presenza di comprensori proto-urbani: grandi agglomerati di villaggi densamente abitati, a capo di un territorio, sorti in concomitanza con lo sviluppo di scambi commerciali a lungo raggio. Como, Golasecca e Castelletto Ticino, sedi fortificate di poteri aristocratici e attività artigianali specializzate, costituirono forti punti di riferimento per l’organizzazione di un ampio territorio da esse dipendente, in virtù del monopolio degli itinerari commerciali, in particolar modo fluviali e lacustri.

Carro della Ca' Morta (Como, museo archeologico, V sec a.C)

Spostiamoci a nord-ovest, al di là del lago Maggiore: in Ossola, terra di ritrovamenti megalitici. Fino a poco tempo fa gli studiosi, identificando nel muro di Arvenolo in valle Antigorio, impressionante per l’imponenza dei massi disposti uno sull’altro, il primo ritrovamento megalitico in val d’Ossola, mossero i primi passi verso nuove e sensazionali scoperte. Ricerche più recenti hanno dimostrato che l’intera vallata (Groppole di Mergozzo, Varchignoli, Croppola, Castelluccio di Montecrestese, alpe Veglia) fu coinvolta nel processo di colonizzazione agricola riconducibile all’attività megalitica. I terrazzamenti su cui si svilupparono le prime colture dell’area risalgono addirittura al III-II millennio a.C. Con l’estensione sistematica delle ricerche oggi è possibile indicare molti luoghi in cui le strutture costituiscono un’autentica tipologia da non sottovalutare.


Il mascherone di Dresio (Vogogna, Vb)

Queste popolazioni, stanziatesi in un’area abbastanza decentrata rispetto ai traffici commerciali del tempo, pur presentando una certa povertà dal punto di vista della cultura materiale perché defilate rispetto ai punti strategici più favorevoli ai commerci, si erano specializzate nell’uso della pietra, in val d'Ossola da sempre abbondante. Adattando la natura alle loro esigenze, senza bisogno di violarne la sacralità i “leponti”, come furono chiamati per distinguerli dai loro vicini, effettuarono notevoli riporti artificiali di terreno, terrazzarono interi crinali collinari favorevolmente illuminati dalla luce solare e li delimitarono per mezzo di muraglioni di pietre a secco.
Centri abitati? Non pare. Il mistero si infittisce nel constatare che Croppole e Castelluccio, i due siti oggetto del nostro studio, potessero non essere villaggi. Anche per via della frana provocata dall'alluvione del 2000, gli scavi archeologici non hanno  rivelato ritrovamenti particolari.
Forse che, in una società dominata dalla bipolarità tra mondo degli uomini e quello degli dei, dall'aldiquà e dall' aldilà, (ossia il "sidhe" o mondo degli spiriti sotto la collina di tradizione gaelica) e da numerosi tabù connessi, la collina e i suoi boschi potessero delineare una geografia simbolica, una dimensione “altra” rispetto a quella costituita dal villaggio?

Ricostruzione di villaggio, Archeopark di Boario Terme (Bs)

Possibile. I siti di Croppola e Castelluccio I dovettero essere i luoghi in cui solo i “gutuàter”, ossia i sacerdoti addetti alla custodia del santuario, avevano libero accesso. Qui la presenza del divino è  assicurata da strutture megalitiche e cerchi di pietre o pietre fitte. A Croppola un grande masso centrale indica l’altare del dio, di fronte al quale si dovettero celebrare riti propiziatori stagionali. Senza dubbio, il cerchio e il muraglione custodivano uno spazio sacralmente delimitato e accessibile soltanto allo “sciamano”. La piattaforma centrale è il cuore del santuario; non solo l’altare sacrificale, dove si compivano i sacrifici agli dei, bensì anche il centro della terra: il cosiddetto “axis mundi”  dove consumare i sacrifici e le offerte agli dei, in cerca del loro consenso.

Masso delle Croci, val Veddasca (Va)

L'unica datazione che i siti archeologici di Montecrestese ci consentono è legata alla funzione dei suoi megaliti e dai suoi menhir, non più legati al mondo dei cacciatori e raccoglitori di frutti spontanei, ma a quello più evoluto dell'agricoltura.
Il megalitismo, infatti si è diffuso con l'introduzione dell'agricoltura, legata a una "cerimonia dell'aratura rituale" che portava alla consacrazione di un’area: una richiesta agli dei che suggellava il permesso di disporre del loro terreno per vivervi e coltivarvi. Un atto preistorico con cui si stabilivano i confini della proprietà privata, ma anche di una futura città, chiamato “atto di fondazione”.
Questa pratica, riscontrabile in vicine aree megalitiche del Vallese e in Val d'Aosta, abbinata alla semina di denti umani, ricorda la cerimonia eseguita da Romolo, che propiziò la fondazione di Roma: un rito suggellato, con l'uccisione di Remo, da un sacrificio umano mirato a circoscrivere i confini sacri e inviolabili di un nuovo insediamento.

foto e testo: Marco Corrias


Bibliografia
AAVV - Alle origini di Varese e del suo territorio – L’erma di Bretschneider
AAVV - Archeologia in Lombardia
AA.VV - La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d’Italia – Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Università degli Studi di Milano 2007
T. Bettamini, Storia di Montecrestese, Oscellana
M. A. Binaghi, I cromlech del Monsorino
R. Corbella, Celti: itinerari storici e turistici tra Lombardia, Piemonte, Svizzera, Macchione, Varese
R. Corbella, Magia e mistero nella terra dei Celti: Como, Varesotto, Ossola, Macchione, Varese
R. De Marinis, Liguri e Celto - Liguri in Italia. Omniun terrarum alumna, Garzanti - Scheiwiller
R. C. De Marinis, La civiltà di Golasecca: i più antichi Celti d'Italia
R. De Marinis, S. Biaggio Simona - I Leponti tra mito e realtà, 2000
A. Gaspani, Il grande cerchio di pietra degli antichi Comenses – Associazione culturale Terra Insubre
A. Gaspani, L’enigma delle strutture megalitiche della val d’Ossola – .N.A.F
B. Ragazzoni – L’uomo preistorico nella provincia di Como

1 commento:

  1. domanda: quindi la tradizione dell'aratura che si studia con il mito di Romolo e Remo va ricondotta ad una tradizione più antica, neolitica, che poi si frammenta e continua in varie aree italiane e straniere? perché quindi poi la ritroviamo carica di significato aggiuntivo come separazione fra la parte "civile" in cui verrà costruita la città e la parte "selvaggia" in cui rimarrà la campagna. la parte di terra rialzata dall'aratro è quella in cui verranno costruite le mura.

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