Arazzo d'Avalos. Dettaglio dalla "Fuga dei francesi" (1526-31, Capodimonte, Napoli)
Pavia, Anno Domini 1525:
Iniziato sotto i peggiori auspici, matura improvvisamente come una polveriera pronta a esplodere, rivelandosi l'inizio di un'era di svolta: una delle tappe più amare della nostra storia. Impero e Francia, col sostegno delle rispettive potenze mercenarie e alleate, si sfidano in un conflitto all'ultimo sangue. Il terreno di scontro privilegiato é la nostra frazionata Penisola; l'obiettivo finale, il dominio assoluto sull'Italia del tempo, ergo sul resto d'Europa.
Preludio alla
battaglia: la contesissima Milano, "Chiave d'Italia", sembra cadere
definitivamente nelle mani dei Francesi, che già di recente l'avevano strappata
agli svizzeri durante l'epica battaglia di Melegnano del 1515, non a caso
soprannominata "Battaglia dei Giganti". Un tale dominio non può
essere accettato dalla maggiore potenza del tempo: la dinastia degli Asburgo
che, cinta la corona del Sacro Romano Impero nella persona di Carlo V e dotata
di un dominio territoriale talmente immenso da estendersi su tre continenti
(Europa, Africa e America), pur provvista di infinite risorse si trova in una
situazione confusa: numericamente inferiori sul territorio rispetto al poderoso
nemico francese e momentaneamente disorganizzati, gli imperiali si trovano a
dover ripiegare verso Lodi.
La nobile Pavia, però, non va assolutamente lasciata sguarnita; la Città Rossa, imbiancata dalle nevi, all'inizio dell'anno é presidiata da una guarnigione di 6.000 uomini: 1000 spagnoli e 5000 mercenari lanzichenecchi, formalmente agli ordini del governatore iberico Antonio de Leyva nel nome dell'Impero. Oltre a occupare una rilevante posizione strategica, l'antica capitale dei Longobardi e del regno d'Italia, in passato favorita anche dai Visconti in quanto strategicamente piazzata sul fiume Ticino, a controllo dei traffici acquatici presso il Po e quelli terrestri tra nord e sud d'Europa, in questo rinnovato contesto si conferma come seconda città più importante del Ducato di Milano.
Arazzo d'Avalos. Dettaglio con Pavia sullo sfondo (1526-31, Capodimonte, Napoli)
La nobile Pavia, però, non va assolutamente lasciata sguarnita; la Città Rossa, imbiancata dalle nevi, all'inizio dell'anno é presidiata da una guarnigione di 6.000 uomini: 1000 spagnoli e 5000 mercenari lanzichenecchi, formalmente agli ordini del governatore iberico Antonio de Leyva nel nome dell'Impero. Oltre a occupare una rilevante posizione strategica, l'antica capitale dei Longobardi e del regno d'Italia, in passato favorita anche dai Visconti in quanto strategicamente piazzata sul fiume Ticino, a controllo dei traffici acquatici presso il Po e quelli terrestri tra nord e sud d'Europa, in questo rinnovato contesto si conferma come seconda città più importante del Ducato di Milano.
Le rosse mura del castello di Pavia al tramonto
I francesi, in
superiorità numerica, hanno organizzato un vero e proprio assedio alle mura: il
grosso delle truppe di re Francesco I, sceso in campo di persona vone i grandi
condottieri del passato, si é accampato a ovest della città, nei pressi della
chiesa di San Lanfranco; le fanterie mercenarie svizzere al suo soldo e
svariati altri nuclei di cavalieri si sono invece acquartierati a est. Un tale
dispiegamento di forze contempla la presenza in campo di numerosi maestri
francesi della guerra come Louis de la Trémoille, Francesco di Lorena, il
comandante d'artiglieria Galiot de Genouillac e soprattutto,
il maresciallo Jacques II de Chabannes de La Palice. Sorta di talismano
vivente, il rude capitano cinquantacinquenne é stato protagonista di mille
battaglie del tempo: a Marsiglia, sui Pirenei, nell'Artois contro Enrico VIII
d'Inghilterra; in Italia a Fornovo, Agnadello, Villafranca, Melegnano e la
Bicocca, e nonostante sia stato più volte catturato o gravemente ferito l'ha
spuntata sempre. Eppure il suo mito, passato alla storia per una serie di
proverbiali freddure del tipo "ahimé! La Palice è morto, è morto davanti a
Pavia; Ahimè! se non fosse morto, sarebbe ancora
in vita!", da attribuirsi alla tradizione popolare e ironicamente passate alla
storia come "lapalissiane", si alimenta proprio a Pavia: come recita
il famoso epitaffio, questo campo insanguinato costituirà un sanguinoso
capolinea tanto per lui quanto per i suoi seguaci e alleati.
Jaques de La Palice eroe dei francesi, a cavallo
Immaginiamoci il
tramonto senza sole del 14 gennaio 1525, al castello di Pavia.
I rintocchi dell'antico orologio astronomico, attutiti dalle nebbie esalate dai campi limitrofi, risuonano a malapena. Presagio di sventura: l'elegante torrione, edificato due secoli prima dal famoso scienziato padovano Giovanni Dondi a corredo della formidabile biblioteca del Castello pavese per volere del duca Giangaleazzo Visconti, al tempo costituì una meraviglia meccanica tale da richiamare studiosi da ogni parte d'Europa...
I rintocchi dell'antico orologio astronomico, attutiti dalle nebbie esalate dai campi limitrofi, risuonano a malapena. Presagio di sventura: l'elegante torrione, edificato due secoli prima dal famoso scienziato padovano Giovanni Dondi a corredo della formidabile biblioteca del Castello pavese per volere del duca Giangaleazzo Visconti, al tempo costituì una meraviglia meccanica tale da richiamare studiosi da ogni parte d'Europa...
Orologio astronomico di Giovanni Dondi a Padova (XV sec., Piazza dell'Orologio)
Quest'oggi
invece, la sua mole, annerita dalla polvere da sparo dei cannoni non inaugura
più voli di colombe, liete nozze tra sovrani, giostre e banchetti tra alleati e
blasoni sgargianti, ma scandisce le terribili adunate dei mercenari
lanzichenecchi, inaspriti dalle sortite fuori dalle mura: nella corte interna
del castello pavese il rauco richiamo alla "gemeine" assembra una
soldataglia composta di guerrieri dalle lunghe barbe bionde e rossicce e gli
occhi chiari come ghiaccio. Brillano i fuochi nella gelida corte; brillano gli
occhi dei fanti teutonici, famigerati per l'efficienza militare e la crudeltà
verso i nemici, nonché per la violenza ostentata sulle popolazioni inermi. I
"Landsknechten" o "servi della patria" sono armati fino ai
denti d'armi ingombranti, ma letali: precisi archibugi a molla e alabarde, con
cui amano tagliare le picche delle fanterie nemiche: soprattutto quelle,
odiatissime, dei mercenari svizzeri, con cui competono da ormai troppo tempo.
Ultima risorsa, una corta spada usata agilmente nel corpo a corpo: la tagliente
"Katzbalger". Sotto le corazze rigide, i tedeschi indossano bizzarre
vesti a sbuffo, multicolori: livree di gusto "barbarico" e gonfaloni
svolazzanti che, é risaputo, non si portano mai dietro alcun tipo d'allegria:
semmai, soltanto presagi di pestilenza, fuoco, stupro e morte.
Collezione di "zweihänder", lunghissime spade a
due mani lanzichenecche da sostituire con le più corte "Katzbalger"
Al seguito dei
soldati, all'ombra dei portici del castello si muovono sagome appesantite dalle
vettovaglie. Sono le vivandiere: mogli e donne di piacere, aiutanti dei
"lanzi", come si usa chiamarli a Firenze e dintorni. Più in là il
boia, ignorato e disprezzato da tutti, tasta il bronzo di un cannone rimasto ancora
caldo per via l'uso prolungato.
Nel frattempo,
il governatore spagnolo don Antonio de Leyva attraversa irriguardosamente a
cavallo l'ala settentrionale del castello visconteo: un'infilata di stanze
gelide, affrescate con scene cortesi di caccia, giostre e feste, realizzate dal
Pisanello in persona con profusione di foglia d'oro e argento allo scopo di
impreziosire la materia pittorica: il suo é uno stile senza precedenti che i
francesi, ammirati, chiamano col nome di
"ouvraige de Lombardie". Non curandosene affatto, il nuovo castellano
imperiale fila dritto al trotto: ha ben altri pensieri per la testa.
Affacciatosi al piano nobile del castello di Pavia, la puzza di polvere da
sparo degli archibugi investe lui e il suo cavallo.
Facendosi scudo col cappello piumato, il de Leyva scruta con preoccupazione le esercitazioni dei lanzichenecchi, attraverso le quadrifore alla veneziana della galleria superiore. Quelle squadracce, in verità, non sono per davvero ai suoi ordini. Lui gestisce soltanto il suo migliaio di connazionali, ma il comandante effettivo delle cinquemila unità di famelici teutoni é Eitel Friederich, figlio del secondo conte di Hohenzollern e terzo erede in linea di discendenza del ducato di Brandeburgo: il lontano avo del nucleo fondatore del futuro e potente regno di Prussia per ora é soltanto uno tra tanti figli cadetti.
Ed eccolo lì, "l'oberkommander": vestito di tutto punto, con barba e pizzetto scuri, é quel che si potrebbe definire un tedesco atipico. Impeccabilmente educato insieme a un ancor giovane Carlo V a Bruxelles, poi primo consigliere segreto e grande maestro di corte sotto l'imperatore Massimiliano I, a soli trentun'anni Eitel Friederich von Hohenzollern dispone di un curriculum invidiabile. Eppure il de Leyva si chiede: come mai un tale damerino, uno studioso e diplomatico di sangue blu, sarebbe stato spedito alla testa di una soldataglia di lanzichenecchi, presso il più pericoloso avamposto del ducato di Milano? Chi gli vuole così male? Anche di ció si preoccupa l'acuto castellano spagnolo di una città sotto assedio.
Pisanello, torneo-battaglia di Liuverzep (Inizi '400, palazzo ducale di Mantova)
Facendosi scudo col cappello piumato, il de Leyva scruta con preoccupazione le esercitazioni dei lanzichenecchi, attraverso le quadrifore alla veneziana della galleria superiore. Quelle squadracce, in verità, non sono per davvero ai suoi ordini. Lui gestisce soltanto il suo migliaio di connazionali, ma il comandante effettivo delle cinquemila unità di famelici teutoni é Eitel Friederich, figlio del secondo conte di Hohenzollern e terzo erede in linea di discendenza del ducato di Brandeburgo: il lontano avo del nucleo fondatore del futuro e potente regno di Prussia per ora é soltanto uno tra tanti figli cadetti.
Ed eccolo lì, "l'oberkommander": vestito di tutto punto, con barba e pizzetto scuri, é quel che si potrebbe definire un tedesco atipico. Impeccabilmente educato insieme a un ancor giovane Carlo V a Bruxelles, poi primo consigliere segreto e grande maestro di corte sotto l'imperatore Massimiliano I, a soli trentun'anni Eitel Friederich von Hohenzollern dispone di un curriculum invidiabile. Eppure il de Leyva si chiede: come mai un tale damerino, uno studioso e diplomatico di sangue blu, sarebbe stato spedito alla testa di una soldataglia di lanzichenecchi, presso il più pericoloso avamposto del ducato di Milano? Chi gli vuole così male? Anche di ció si preoccupa l'acuto castellano spagnolo di una città sotto assedio.
Resistere fino
all'arrivo di rinforzi: l'impresa congiunta di pochi tedeschi e spagnoli sembra
una causa persa, che non lascia spazio a rosei presagi. Meglio andare a
coricarsi, davanti al fuoco di un vecchio camino sforzesco la cui debole luce
illumina l'emblema del biscione, ormai sbrecciato...e cercare di frapporre la
massima distanza tra sé e i lanzichenecchi; questi ultimi hanno deciso di
passare l'ennesima notte senza stelle nelle segrete del castello: vino, donne e
mani di zecchinetta, un gioco d'azzardo tipo dei lanzi, al canto insistente di
"unser liebe Fraue": "Nostra Amata Signora" é un inno di
battaglia, dedicato niente meno che alla Vergine Maria. Una vera e propria bestemmia,
riflette il governatore: scandita da assassini professionisti che non credono
in nulla, per giunta eretici protestanti. Dopo i brindisi ha inizio una cena
animata: i discorsi vertono su lettere di impegno, retribuzioni del soldo e
mezzo soldo, eventuali bottini da spartire...insomma: si parla d'armi, ruberie e d'affari.
Cinque lanzinchenecchi (Daniel Hopfer, 1530)
A un certo punto
qualcuno alza la voce. Vetri infranti. Presto in cantina divampa la rissa: tra
i lanzichenecchi é una prassi all'ordine del giorno. Don Antonio finge di non
udire nulla e si avvolge tra le coperte; uscire a quest'ora sul ballatoio, con
un tale gelo potrebbe causargli una polmonite, se non una pugnalata alla
schiena: la notte porterà consiglio.
Eppure, le ore
notturne sono anche le predilette, si sa, dai traditori e dagli assassini...
Luci fantasmagoriche al castello di Pavia: dovette apparire così nella notte dell'omicidio?
All'orizzonte
sorge un nuovo lattiginoso giorno. Oggi i fuochi torneranno a tuonare; i
preparativi per un nuovo assalto francese, fuori dalle rosse mura, sono in
corso: dalla resistenza del castello pavese dipendono i destini d'Europa!
L'orologio
astronomico suona l'ora dell'adunanza mattutina; ma quando la nebbia si dirada,
de Leyva comprende subito che non tutto quadra come dovrebbe: davanti agli
occhi del castellano si para uno scenario del tutto inatteso. Radunatisi in
cortile, lanzichenecchi cantano in coro una marcia funebre cupa e cadenzata.
Eitel Friederich
von Hohenstaufen é morto: il suo corpo, gelido, giace nelle segrete del
castello. Com'è accaduto?
I lanzichenecchi
scuotono le braccia, negando ogni responsabilità: i testimoni raccontano di
averlo visto semplicemente accasciarsi al suolo. in quanto servitori della
patria, i fanti hanno giurato solenne obbedienza al loro
"oberkommander": soldati di ventura,
apparentemente svincolati da ogni di regola se non a quella del
saccheggio senza pietà, i mercenari tedeschi seguono una condotta sí rude ma
fatta di lealtà personale, che li lega al proprio condottiero fino alla morte.
In effetti, il
corpo del nobile non mostra ferite di sorta. Qualcuno espone i suoi sospetti
verso un ufficiale fuori posto, che non fa parte del gruppo dei lanzi: un
ispanico, un uomo arrogante e invidioso con cui il capitano avrebbe avuto uno
screzio. Forse chissà, per via di una cortigiana che piaceva a entrambi, e
aggiudicata ad Eitel giocandosela alla zecchinetta? Pace fatta, comunque, con
un brindisi...di troppo.
Veleno.
Presto il suo
corpo impiccato penzola da un ramo in quello stesso cortile. L'indennizzo
dovuto ai lanzichenecchi é stato presto pagato; eppure, don Antonio de Leyva
sarà ossessionato per giorni anche da questo problema...
Se l'assassinio dell'Hohenzollern fosse premeditato? Forse l'omicidio, celato dietro la boria di un nobilotto senza nome, é stato commissionato proprio dai francesi, nella speranza di una sommossa interna sufficiente a ottenere la capitolazione prima dell'arrivo dei soccorsi. Per certo, l'accaduto rischia di fomentare l'animosità dei lanzichenecchi contro le stesse autorità che li hanno ingaggiati...
Se l'assassinio dell'Hohenzollern fosse premeditato? Forse l'omicidio, celato dietro la boria di un nobilotto senza nome, é stato commissionato proprio dai francesi, nella speranza di una sommossa interna sufficiente a ottenere la capitolazione prima dell'arrivo dei soccorsi. Per certo, l'accaduto rischia di fomentare l'animosità dei lanzichenecchi contro le stesse autorità che li hanno ingaggiati...
Al fine di
placare le future e insistenti richieste di denaro degli avidi mercenari
teutonici, nei giorni successivi lo scrupolo estremo del
governatore si concentra nel racimolare quante più possibili risorse
economiche...ma come?
Con pretese di "contribuzioni straordinarie" ai pavesi: in particolare a categorie come "speciari, fabri, beccari e mastri legnaioli", che gli hanno fruttato oltre ventiquattromila ducati; con i prestiti imposti ai canonici del Duomo, inclusa la fusione degli arredi sacri delle chiese, delle mazze d'argento dei rettori dell'università e tutti gli altri oggetti preziosi di proprietà dell'ateneo.
Con pretese di "contribuzioni straordinarie" ai pavesi: in particolare a categorie come "speciari, fabri, beccari e mastri legnaioli", che gli hanno fruttato oltre ventiquattromila ducati; con i prestiti imposti ai canonici del Duomo, inclusa la fusione degli arredi sacri delle chiese, delle mazze d'argento dei rettori dell'università e tutti gli altri oggetti preziosi di proprietà dell'ateneo.
Questo ed altro,
per coniare il denaro dei «lanzi».
Arazzo d'Avalos. "Invasione del campo francese (1526-31, Capodimonte, Napoli)
Tutti gli
escamotage dello spagnolo sono comunque destinati ad esaurirsi in breve tempo;
presto i mercenari daranno segnali di crescente insofferenza. L'assenza di una
guida si percepisce sempre più...lo stato d'anarchia é prossimo, e quando i
tedeschi abbandoneranno il campo, facendosi largo con la rapina e il saccheggio
verso la via del ritorno a casa...Pavia cadrà in mano ai francesi.
Situazione di
stallo, si prolunga fino all'inizio del febbraio del 1525: ed ecco giungere in
soccorso del governatore un tesoretto, inviato a Pavia dal campo imperiale!
Grazie ad esso,
il de Leyva riesce a corrispondere una parte delle paghe dei soldati e a
trattenerli finché il gioco inizia a farsi davvero duro: il loro contributo
sarà fondamentale a reggere l'urto dell'armata di Francesco I.
Il governatore e comandante spagnolo Antonio de Leyva (Napoli, piazza del Plebiscito)
25 febbraio
1525.
Ventimila uomini
agli ordini di importanti capitani appena sopraggiunti come Carlo di Lannoy,
viceré di Napoli, Carlo di Borbone e l'avido Fernando Francesco d'Avalos,
marchese di Pescara, portano il loro sostegno decisivo agli assediati;
l'esercito imperiale si accampa ad est di Pavia, proprio di fronte alle truppe
francesi. Per tre settimane i due eserciti si fronteggiano trincerati
nell'antico parco visconteo di caccia: l'attuale parco della Vernavola, a nord
del castello, dove i guastatori imperiali si aprono una breccia nella cinta del
parco, sorprendendo le linee francesi. Superato lo shock iniziale, Francesco I
reagisce schierando personalmente la sua famosa cavalleria pesante contro
quella spagnola; il micidiale tiro dell'artiglieria francese realizza
un'abominevole strage sulle dense file dei mercenari lanzichenecchi. I francesi
sono in vantaggio.
Dopo un aspro scontro in bilico tra ragioni militari e follia, aprendosi la via a colpi d'alabarda sotto la guida del famigerato capitano Georg von Frundsberg, l'uomo che presto minaccerà d'impiccare papà Alessandro con una corda d'oro, i tedeschi riprendono il controllo della situazione.
Dopo un aspro scontro in bilico tra ragioni militari e follia, aprendosi la via a colpi d'alabarda sotto la guida del famigerato capitano Georg von Frundsberg, l'uomo che presto minaccerà d'impiccare papà Alessandro con una corda d'oro, i tedeschi riprendono il controllo della situazione.
Arazzo d'Avalos, dettaglio della cavalleria francese alla battaglia di Pavia (1526-31, Capodimonte, Napoli)
É giunta infine l'ora dei
"Tercios": innovativa tattica d'organizzazione militare spagnola che
prevede l'attacco congiunto di picchieri e moschettieri armati di archibugi.
Nel momento in cui imperiali atterrano i cavalieri francesi superstiti che li
stanno caricando, gli esiti della battaglia si sono ormai totalmente ribaltati:
questi, impacciati dalle pesanti armature, non possono difendersi dall'arrivo
dei lanzichenecchi che a sangue freddo li massacrano da vicino con pugnalate
crudeli mirate a colpire tra un interstizio e l'altro delle loro pesanti
corazze. Jacques de la Palice si arrende, eppure non basta: dopo la cattura non
viene semplicemente ucciso, ma conteso tra i fanti rabbiosi e letteralmente
fatto a pezzi. Presto la sua vedova, Marie de Melun, gli farà edificare una
magnifica tomba nella cappella del castello omonimo: proprio in tal luogo la
sua brigata comporrà per lui in epitaffio destinato a diventar tormentone fra
le soldataglie del tempo.
Arazzo d'Avalos, dettaglio: "Tercio" spagnolo alla battaglia di Pavia (1526-31, Capodimonte, Napoli)
"Ci-gît
monsieur de la Palice. Si il n'était pas mort, il ferait encore envi" vuol
dire "qui giace monsignor de la Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora
invidia". Fin qui nulla di sorprendente, se non fosse il deteriorarsi nel
tempo delle lettere scritte sulla lapide a portare, ironia del destino, il
testo a recitare "se egli non fosse
morto sarebbe ancora in vita"...questo malinteso porterà perfino a
paradossali testi poetici, e con essi al mito sconcertante dell'aggettivo
"lapalissiano".
Francobollo commemorativo del generale La Palice
Ed ecco
concludersi una storia affascinante e terribile, quanto decisiva per la storia
d'Italia.
Ho desiderato
narrarla a partire da Pavia, l'Omaha Beach del XVI secolo, ispirato dalle
vicende di due personaggi del tempo, il celebre maresciallo di Francia e
dell'assai meno noto antenato del regno di Prussia: due personaggi dal
differente peso specifico, schierati su fronti opposti, eppure accomunati da un
comune destino: il La Palice e l'Hohenzollern.
Carlo V sconfigge a Furia (1549, Leone Leoni, museo del Prado)
Due uomini, due
lapidi.
Entrambi furono
personalmente coinvolti dalla grande battaglia; entrambi traditi dalla fiducia
verso le care vecchie regole della cavalleria e accomunati dallo stesso destino
di morte e, tutto sommato, ingenerosamente obliati da un tempo che niente e
nessuno ha potuto fermare. Se Lapalisse ebbe il privilegio del riposo eterno
nella sua terra d'origine, non si può dire lo stesso per Eitel Friedrich: il
conte tedesco, deceduto senza aver nemmeno avuto il tempo per compiere grandi
imprese, qui morì e qui rimase.
Sebbene l'orologio astronomico e l'ala nord del
castello, quella affrescata dal Pisanello, dal 1527 siano spariti dalla storia
per via della furia iconoclasta degli spagnoli, oggi Pavia resta in ogni caso una bellissima, e finalmente tranquilla città d'arte e di studi. E se, per duplice scherzo del destino, la
lapide dell'oberkommander Eitel Friedrich é stata riportata come testimonianza
storica nello stesso luogo in cui egli fu avvelenato, ossia gli attuali musei del
castello, la sua salma, prima sepolta in Duomo, ora riposa murata in san Pietro in Ciel d'Oro, in compagnia dei
resti simbolici d'uomini del calibro di re Liutprando, Sant'Agostino e Severino
Boezio...
Il rampollo di casa Hohenzollern si sarà davvero meritato un tale privilegio?
Marco Corrias
Arazzo d'Avalos. "Fuga dei francesi e diniego degli svizzeri" (1526-31, Capodimonte, Napoli)