Chiesa-Cripta di San Marco (Massafra, XI sec.)
Riflesso d'orizzonti orientali: dai Balcani alla Grecia, dalle rive egee fino al golfo del Bosforo. La Puglia, che per lungo tempo aveva fatto parte del regno di Langobardia, nel biennio 1155-1156 fu rivendicata e strappata agli arabi dalle milizie bizantine inviate dall'imperatore Alessio Comneno. Presto le rocche di Bari (tò kastròn Bàreos), vecchia capitale del Catapanato d'Italia dove appena un secolo prima erano state traslate le reliquie di San Nicola di Mira, ripresero le funzioni un tempo spettanti all'esarcato di Ravenna: fu così che i dromoni, navi da guerra bizantine del piccolo e ricco regno di provincia creato a somiglianza di Costantinopoli, tornarono ad affacciarsi prepotentemente sui mari. Eppure, il predominio della cultura greca in Puglia non fu ottenuto solo con le armi, né per via della nuova ricchezza diffusa: il merito maggiore è da attribuirsi al dilagante fenomeno del monachesimo siro-palestinese, che tra X e XII secolo colonizzò la regione con l'insediamento di villaggi rupestri.
Dromoni bizantini (S. Apollinare Nuovo, Ravenna. VI sec).
Non
lontano dagli opulenti latifondi coltivati a ulivi, cereali e vigne, nelle zone
più impervie della provincia di Taranto andarono presto addensandosi estese
“criptopoli”: città segrete, ricavate dallo scavo plurisecolare dei fianchi di
burroni tufacei detti “gravine”. Con lo stanziamento degli eremiti venuti da
Oriente, questi antri furono riadattati e coperti di immagini sacre affrescate
in stile bizantino, dove il contrasto tra le cromie e il medium della pietra
grezza pone in massimo risalto il valore del misticismo teologico trasposto in
pittura.
A
testimonianza di storie di comunità monastiche di antichissime origini la
regione delle Murge, da Grottaglie, Massafra, Mottola e Gravina a Matera e
Altamura è punteggiata da una trentina di chiese rupestri, spesso di notevole
valore storico-artistico: una vera e propria Cappadocia pugliese.
All'imboccatura del Parco Regionale delle Gravine si innalza lo sperone
roccioso di Massafra: la più importante città rupestre pugliese, che per
via della sua millenaria vocazione eremitica é stata soprannominata “Tebaide
d'Italia”.
Massafra - Gravina di San Marco
Proprio
a imitazione di sant'Antonio abate, che verso il 306 d.C. era emerso vittorioso
da una volontaria reclusione espiatoria nel deserto egiziano della Tebaide, i
suoi adepti usarono espiare i peccati del genere umano isolandosi, pregando e
digiunando in terre ostili e disabitate. Pur essendo difficile, in carenza di
scavi sistematici, offrire una cronologia precisa della fenomenologia rupestre,
il periodo di massima frequentazione del sito é attestato tra X e XI secolo: la
prima notizia storica attestante l'esistenza di un monaci orientali a
Massafra, il cui territorio, peraltro, risulta frequentato come sito trogloditico fin dall'età della
Pietra, si registra nel 971 d. C. Gli
ambienti ricavati nel tufo, riabitati dall'alto Medioevo come rifugio isolato
dagli assalti nemici alle grandi città, furono presto adibiti a nuovo uso.
L'insediamento
tra le grotte da parte di comunità cristiane dedite all'austerità prevedeva
le difficili attività di purificazione spirituale (askesis)
e fuga dal mondo (anachoresis). Se
un contadino si fosse fatto monaco, questi avrebbe ceduto la sua terra a una
cappella da erigere; con il tempo, altri due o tre braccianti si sarebbero
uniti a lui e cosi di seguito, fino alla creazione di una nuova comunità
monastica.
Massafra - Gravina di San Marco
Attualmente,
a ridosso di un pianoro urbanisticamente saturo, il centro moderno di Massafra
é solcato da ben due gravine costellate di grotte e villaggi ipogei.
La
vistosa gravina orientale, dedicata a San Marco e occupata da un villaggio
rupestre, con le chiese di santa Marina, della Candelora e san Marco incarna
una preziosa testimonianza di vita ascetica; sulla faglia aperta si staglia il
castello di origine normanna, munito di torri cilindriche. Vedere un villaggio
trogloditico così ben inserito in un centro abitato fa del contesto massafrese
un habitat unico al mondo.
Calandosi
nella gravina, il primo esempio architettonico in cui ci si imbatte é la
notevole chiesa-cripta della Candelora: l'edificio a pianta basilicale,
risalente alla fine del XII secolo, è una delle strutture più raffinate della
scuola salentina. Il suo sistema, impostato su uno spazio di tre navate ad
andamento trapezoidale appositamente ideato per favorire la diffusione della
luce naturale, sorregge una cupola circolare impostata su mensole in cui é
fedelmente applicata la concezione geometrica bizantina dell'ottagono inscritto
in un quadrato.
Chiesa-cripta della Candelora (XII sec.)
La
chiesa-cripta deve la sua intitolazione all'abitudine popolare di chiamare la
festa cristiana della Presentazione di Gesù al Tempio col nome di “Candelora”.
Il rito
cristiano delle candele, legato al lento ritorno della luce primaverile,
preesisteva già presso i pagani; é il caso della festa celtica di Imbolc, dei
Lupercalia romani, delle calende di Febbraio dedicate a Giunone e dei riti in
onore dell'anatolica Cibele, "Grande Madre Idea": queste ultime due
figure femminili, legate ai cicli lunari, alla fertilità e al ritorno alla vita
prefigurano l'immagine di Maria.
Sulle
pareti sopravvive un importante ciclo di affreschi tematicamente riconducibili
proprio alla liturgia d'iniziazione: nella scena della Presentazione al Tempio
la Vergine, raffigurata secondo il celebre modello greco dell' “Odeghitria” ossia di “Colei che indica
la via”, mostra il Cristo bambino offerto a san Simeone quale sacrificio per la
salvezza dell’umanità.
Dinnanzi
al bambino si ricordano le parole del vecchio profeta: “egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, perché siano
svelati i segreti di molti cuori.
E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. (Lc 2,25-35)
Con
questa profezia sibillina il profeta preannunciava la morte dell’amato
figlio e il terribile strazio di sua madre. Non a caso, lo spazio mistico della ritualità bizantino si
soffermò spesso su questa dimensione: la dimensone del sacrificio reale, ma anche allegorico. Nella cripta massafrese della
Candelora un'altra icona della Vergine, sulla destra, stringe per mano un
Cristo infante, osservandolo con la tenerezza tipica della tipologia della “prolexis” ossia “anticipazione”: la prefigurazione
simbolica della futura Passione. L'altrettanto singolare immagine del bimbo
"carpoforo", portatore di un cesto colmo di frutta come un putto
dionisiaco, allude alla conversione cristiana in doni dello Spirito Santo.
Chiesa-cripta della Candelora - Icona rara della Vergine che stringe per mano l'Infante
Perché
vivere e cercare la quiete spirituale proprio sotto terra? La cripta, dal greco
Kryptē, ossia "luogo nascosto",
destinata in seguito custodire tombe e reliquie di santi, era
originariamente il grembo della Madre Terra, regno delle divinità generatrici:
in questo luogo privilegiato d'incontro tra l'uomo e il Dio reincarnato, con la
mediazione della Vergine, il mondo esterno era tenuto severamente lontano.
Ebbene
sì: Maria è discendente delle antiche dee della natura e dei cicli lunari. Ancora
nel V secolo dopo Cristo, il teologo Isidoro da Pelusio sollevò la scottante
disputa sulla distinzione tra la Madre di Dio cristiana e le misteriche divinità
femminili legate al politeismo: poiché a livello popolare il problema, sentitissimo,
era causa di fraintendimenti continui, i teologi optarono a favore di una maternità
virginale intesa come vera e propria “gravidanza umana”.
La malinconia nello sguardo della Madre, consapevole del sacrificio futuro
Fu per lo stesso
motivo che gli imperatori d’Oriente del VI secolo avanzato consolidarono il
concetto di piena umanità di Maria supponendone la morte, benché nobilitante,
attraverso l’assunzione in Cielo. Il problema del riconoscimento del culto
universale della Vergine come creatura umana e al tempo stesso genitrice di Dio fu
risolto dal concilio di Efeso del 435 d.C
Eppure,
i residui di paganesimo sopravvissero ai secoli: a Massafra l'arredo liturgico
in pietra ripropone caratteri ereditati dagli antichi templi greci. Il “naos”, antica casa del nume e del suo
simulacro, diventa lo spazio adibito ad accogliere visioni dipinte: é il luogo
di manifestazione, proibita ai più, della divinità rupestre; il "bema", dove si celebravano i
riti, non era altro che l'antico altare sacrificale.
Moneta raffigurante la Dea-Madre Cibele (Milano, museo Archeologico)
Più in
là, tra le grotte, le erbacce e le essenze selvatiche di malva, fichi e
capperi, si cela San Marco; la chiesa-cripta che diede il nome alla faglia
tufacea, con le sue due navate affiancate, separate da pilastri scolpiti e
graffiti a caratteri greci e latini, testimonia la convivenza pacifica di
comunità di confessione mista, abituate senza problemi a officiare in comune:
una navata era dedicata ai fedeli del culto greco-ortodosso, l'altra a quelli
di confessione latina e cattolica.
Per
raggiungere la gravina occidentale bisogna attraversare il disadorno centro
abitato, costellato da episodi poco felici di edilizia anni '50, dove soltanto una guida del luogo
potrà indicate le vie, oggi invisibili, per nuove cripte nascoste. L'itinerario
mistico, che porta ad accedere ai sotterranei di un vecchio ospedale civile,
nasconde l'antichissima chiesa ipogea di Sant’Antonio (X-XI sec.)
Chiesa-cripta di S. Antonio (X-XI secc.)
Anche qui, come in san Marco, una
cripta molto antica accoglie due chiese affiancate e distinte, con nicchie
parietali affrescate risalenti a periodi distinti, databili tra il XIV e XV secolo. Il campionario iconografico,
prettamente filo-bizantino, ostenta una “Déesis”
(Cristo in trono, Signore del cielo, della terra e del mare, fiancheggiato dagli
intercessori: la Mater Domini e Giovanni Battista), San Pietro con le lettere e
le chiavi, e numerosi santi (Paolo eremita, Sant’Antonio, i santi medici
Cosma e Damiano).
L'arrivo
alla gravina occidentale presenta nuove sorprese: la basilica di Santa Maria
della Scala, creata ad immagine della Gerusalemme celeste, le cripte affrescate
di San Lorenzo, di San Simeone in Famosa, della Buona Nuova e l'Antro del
Ciclope.
Il
viaggio nella valle si conclude in fondo a un burrone, a 200 metri di
profondità, dove sorge la “Farmacia del mago Greguro”: un’imponente struttura
tufacea punteggiata di buchi e costituita al suo interno da celle comunicanti,
di cui i monaci si sarebbero serviti per depositare erbe medicinali.
Farmacia del Mago Greguro
Insieme al nome del misterioso taumaturgo, la tradizione locale ha tramandato il ricordo di molti altri maghi e streghe vissuti nei secoli proprio in queste valli. Dalla Farmacia del mago Greguro alla Gravina della Zingara, dal Noce dei Maghi al Corno della Strega fino alla Punta del Monte Moro e al Rione degli Ostinati, la Murgia è la terra dove un tempo gli stregoni praticavano riti divinatori e preparavano filtri magici. D'altra parte quale altro luogo se non Massafra, antico centro della spiritualità medievale in Puglia, dapprima dimora di antiche divinità rupestri e poi Tebaide d'Italia, si presterebbe ad accogliere nel suo grembo di pietra i grandi misteri insondabili della teosofia altomedievale?
Testo e foto: Marco Corrias (alias Marc Pevèn)
Bibliografia:
Dell’Aquila F, Messina A., Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, 1998.
Belting, H., Il Culto delle
Immagini, storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, 2001.
Pasini, G., Il monachesimo
bizantino, 2004.
Lavermicocca, N., Puglia
bizantina, 2012.