S. Vincenzo a Pombia, chiesa castellana: l'abside soprelevata segnala la presenza di una cappella regia
La gloriosa storia del borgo di Pombia, spesso e volentieri confusa con la cittadina limitrofa di Varallo Pombia, è stata scordata dai più: forse proprio questa dimenticanza ha permesso al piccolo centro agreste, a picco sulla valle del Ticino, di mantenere intatte le sue genuine caratteristiche originarie. “Castelpombia”, com'era chiamata nel medioevo, condivise vicissitudini storiche e fasi edilizie assai simili a quelle di Castelseprio: già frequentata dai Celti Golasecchiani durante l‟Età del Ferro e fortificata in epoca romana e ostrogota, in età barbarica anche Pombia fu sede di un‟importante arimannia longobarda. In coppia con la rocca di Castelnovate, costruita sull'altra sponda del Ticino, costituiva una chiusa munita di sbarramenti, trappole e macchinari da lancio, con la finalità di bloccare il transito degli invasori intenzionati a guadare il fiume.
Castelnovate, rudere obliato a guado sul Ticino
Nonostante un breve periodo di oblio dovuto al tentativo di assimilazione forzata alla sede vescovile di Novara (841), gli eventi della grande storia non riuscirono, se non alla fine, a scalzare questo luogo predestinato dal fato. Nell'ampio scacchiere strategico che andava dalle Alpi alle colline, protagonisti assoluti furono proprio i signori di Pombia; stirpe di altissimo lignaggio, erede di una pesante eredità: quella longobarda. Castelpombia era un comprensorio d‟insediamenti agricoli fortificati di tipo curtense, gravitanti attorno al borgo incastellato: sede di comitato (contea) in età carolingia e ottoniana e centro di potere a capo dell‟intero territorio novarese. Il castrum, separato dal resto dell'abitato, occupa la sommità meridionale del colle di Pombia, a strapiombo sulla valle del Ticino.
Castel Domino, residenza di Arduino d'Ivrea e dei suoi crudeli antenati.
Girandovi attorno, dal prato retrostante è ancora possibile ravvisare la presenza delle fondamenta a scarpata, in mattoni e con pietre angolari di rinforzo: la tradizione ne attribuisce l‟edificazione al vescovo Onorato di Novara (489 d.C.), rappresentante di un'autorità, quella ecclesiastica, presente sul territorio già in età remota nel tentativo di ovviare all'assenza dell‟impero Romano da poco collassato. Oltre alle mura del castrum romano sulla destra sorgono i romantici resti del castello Longobardo: “Castel Domino”, la cui struttura ricalca quella degli antichi recinti preistorici formati da tre cerchie di mura quadrilatere sovrapposte. I terrapieni furono scavati tutt'attorno a una torre romana preesistente.
Le antiche mura romane e alto medievali del castrum, su cui sorgono oggi case e cascinali
Piazzata al centro, quest'ultima vantava una pianta quadrata, con 8 metri di lato e uno spessore 1 metro e 40 centimetri. A una più attenta osservazione ciò che rimane del fortilizio, rivela essere, più che una struttura militare, l'antenato di un ricetto difensivo: una struttura addetta ad accogliere gli abitanti del luogo in fuga dai paesi limitrofi con tutti i loro averi, bestiame incluso. Non per nulla la sua posizione strategica trasformò presto Castel Domino in un vero e proprio bersaglio per ogni sorta d'aggressore: distrutto da un indescrivibile numero di assedi operati dai Burgundi, dai Franchi, dagli Ungari, da Carlo Magno, da Ottone I e dei feudatari del basso medioevo, il baluardo fu sempre ricostruito sulle sue stesse rovine. Quel che è sopravvissuto è un intrico di ruderi d'età diverse, sovrapposti e difficilmente identificabili. I bassi muraglioni che separano le proprietà private, costituite da vigne e giardini, cingono ancora oggi il cuore dell'insediamento: l‟antichissima chiesa di San Vincenzo in Castro.
San Vincenzo in Castro, con "l'esonartece" d'ingresso
San Vincenzo, basilica di origine longobarda (VIII sec.), rimaneggiata in età romanica (XI sec.) è rimasta miracolosamente integra: le consunte mura che la cingono da tempi immemori hanno realizzato il loro scopo. Non per nulla, proprio dall'epoca Berengariana nell'area del Verbano si sarebbe sentito il bisogno urgente di proteggere la pieve e l‟abitato cresciutole intorno con una robusta cinta murata. Un altro celebre esempio è rappresentato dal borgo murato, oggi scomparso, “infra kastro Varise”: il centro della nascente pieve di Varese (1109). L'arcaico edificio presenta mura costruite con materiali molto eterogenei; si va dalle “bocce di fiume”, massi rotondi cavati dal greto del Ticino, al rosso mattone, ricavato dallo spoglio di edifici preesistenti. L'antichità del luogo è confermata da un coperchio di sarcofago e da un'ara funeraria di epoca romana murata come pietra d'angolo: il campanile stesso del San Vincenzo nasce sulle fondamenta di una torre romana riadattata. Il portale della pieve è preceduto da un curioso arcone d'ingresso, detto “esonartece” ossia il nartece esterno. Entrando, non è la chiesa in sé a destare meraviglia, quanto la scala in pietra che sale, scomparendo in controfacciata. L‟antico percorso liturgico conduce a una cappella sopraelevata, nascosta in controfacciata, trattasi di una tipica soluzione architettonica di tipo nordico, riscontrabile anche nella cappella imperiale di Carlo Magno ad Acquisgrana: un vero e proprio mistero germanico in terra novarese.
La cappella funebre di...Angilberto...Adalberto...o Liutolfo?
La curiosa abside pensile rivela resti di affreschi simbolici, tracciati a pennellate rosse su fondo bianco (XI-XII sec.): un "velario" ad altezza del pavimento, un gallo (la Vigilanza) un pavone (emblema d‟immortalità dell'anima) e una chimera infernale. Questi elementi fanno pensare a una cappella celebrativa, in onore di un defunto d‟alto rango: secondo alcune ipotesi potrebbe trattarsi della camera mortuaria dello sfortunato Liutolfo di Sassonia, o forse dello stesso Berengario?
Qui, tra le mura del “castrum Domini” nel X secolo ebbe inizio l‟audace impresa iniziata con Berengario II d‟Ivrea e terminata da Arduino, entrambi re d'Italia.
Il westverk di Aquisgrana (Germania, Renania Palatinato)
Giunti a questo punto, è doveroso introdurre la storia degli incredibili protagonisti che vissero tra le dirupate mura di Pombia: la dinastia degli “Anscarici”, nobili di origine franco-longobarda che presero il nome da Anscario, leggendario padre fondatore del casato.
Il tipico westverk germanico, o "corpo occidentale"
Tra di essi Berengario II fu nipote di quel celebre Berengario I, già duca del Friuli e poi re d‟Italia, che aveva sparso sangue nella battaglia campale di Fiorenzuola d'Arda (Piacenza) contro l‟altrettanto agguerrito re Rodolfo di Borgogna (che, per dirla tutta, voleva occupare la Penisola con la forza), e che dopo aver perso, assoldò per vendetta un'orda di feroci predoni ungari armati d'archi e frecce incendiarie, da scatenare contro Pavia capitale. Il terribile rogo provocò una strage tale tra gli abitanti da scatenare una congiura: nel 924, mentre pregava durante una messa, nonno Berengario fu pugnalato a morte da un gruppo di sicari veronesi. Nonostante le tribolazioni dell'epoca il nipote Berengario II, margravio d'Ivrea, per metà di sangue anscarico e per metà imperiale, ereditando tutta l'Italia nord-occidentale mise in agitazione i signori d'Oltralpe.
Duomo d'Ivrea: la marca alla quale i signori di Pombia si associarono nei secoli
Giusto per dimostrare di che pasta fosse fatto, con un colpo di mano Berengario mise fuori gioco il nuovo pretendente al trono italico, Ugo di Arles, intenzionato a sua volta a cavargli gli occhi, finendo col tramutarlo in un debole burattino della sua politica. Per non vanificare i suoi piani, lo spregiudicato Berengario fece imprigionare tra le mura di Pombia il giovane figlio di Ugo, Lotario II, e le sua fresca sposa appena sedicenne, Adelaide di Borgogna:
Adelaide di Borgogna si prodiga in opere pie (dipinto barocco da Pavia. S. Salvatore)
gli ostaggi gli avrebbero assicurato il pretesto per occupare legittimamente l'ambito trono d'Italia. Dopo tre anni d'ospitalità forzata, avvelenato Lotario e unita Adelaide in matrimonio con suo figlio Adalberto, Berengario si trovò con il coltello dalla parte del manico: mentre l'infelice Adelaide subiva soprusi e maltrattamenti dalla sua terribile moglie Willa, il signore di Pombia si proclamò re d'Italia a Pavia insieme al figlio (950). Forte della sua posizione, l'anscarico strinse una proficua alleanza con il re di Sassonia, Ottone I.
Berengario II si sottomette a Ottone I
Quest'ultimo, non ancora giunto al culmine della sua potenza, si ritrovò a trattare con l'usurpatore; suo figlio Liutolfo, inviato a Pombia con intenti belligeranti, fu messo alle strette e costretto a confermare al nemico tutti i suoi privilegi…rimettendoci perfino la vita! I cronisti hanno riferito di misteriose “febbri” lacustri che avrebbero colpito il principe durante una battuta di caccia; solo in pochi, forse per timore di rappresaglie, si spinsero a parlare d'avvelenamento.
Dòmm di Magonza: Liutolfo è sepolto qui...?
Un altro mistero riguarda il luogo di sepoltura di Liutolfo: secondo fonti ufficiali il corpo del figlio di Ottone sarebbe stato traslato nella cattedrale tedesca di Magonza e quivi tumulato; alcuni studiosi del passato recente, invece, hanno sostenuto la tesi alternativa di una sua sepoltura nel nartece della chiesa di S. Vincenzo a Pombia…
Velarium con chimera e grifone, dalla cappella funebre soprelevata di Pombia
Bibliografia
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Delort - La vita quotidiana nel medioevo.
Montanari – Alimentazione e cultura nel medioevo
M. De Marchi - Insediamenti Longobardi e castelli tardoantichi tra Ticino e Mincio
V. Fumagalli – Storie di val Padana
P. M. De Marchi, E. Percivaldi, Castelseprio: il castrum. Lo stato delle conoscenze tra Tardo Antico e Alto Medioevo, in “il Seprio nel Medioevo (sec. VI-XIII)” Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, 2011
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G. Andenna, D. Tuniz – Storie dell'anno Mille: i cinque libri delle storie di Rodolfo il Glabro, Jaca Book
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